Richiami di medicina e semeiotica medica, da applicarsi al nostro caso.

La medicina si prefigge di curare – e se possibile guarire – le malattie, nonché di alleviare le sofferenze di chi ne è colpito.

Il vocabolario della lingua italiana, De Voto Oli, definisce la parola “malattia” come “un’anormale condizione dell’organismo causata da alterazioni organiche o funzionali ad andamento evolutivo verso la morte, la guarigione o una nuova, diversa condizione di vita”.

Ogni e qualunque malattia è chiaramente identificabile attraverso esami specifici in grado di individuare le anomalie nel corpo, organo, tessuto o cellula: non sulla base del parere soggettivo, né di test che debbano essere “interpretati”.

Una branca fondamentale della medicina è la patologia medica. I patologi si occupano di identificare e catalogare tutte le possibili anomalie, ed anche le cause di morte nel settore più specifico della patologia legale. Nei più affermati testi di patologia, la parola “malattia” viene definita come “anormalità della struttura o della funzione di cellule, tessuti, organi o organismi”.

Tutte la malattie possibili, dalle più gravi alle più innocue, sono visibili e misurabili tramite le alterazioni che provocano all’interno delle cellule, dei tessuti, degli organi o del loro metabolismo. A queste si aggiungono eventuali anomalie a livello molecolare che possono causare alterazioni al corretto funzionamento dell’organismo, come definite dalla biologia appunto “molecolare”.

Per ogni malattia, dal cancro al raffreddore, la medicina possiede test oggettivi (macchinari, esami di laboratorio, radiografie ed altri mezzi di verifica) che ne provano o meno la presenza, al di là del parere soggettivo di qualunque addetto ai lavori. Le opinioni dei singoli, i pareri personali non contano nulla in medicina: questo è ciò che rende la medicina una scienza.

Possiamo andare oltre in questa illustrazione della metodologia scientifica nella medicina.

La semeiotica medica insegna a distinguere tra sintomi e segni (2).

Il sintomo è ciò che il paziente dice, afferma o fa di sua volontà. Sono sensazioni soggettive, quali lamentarsi di un dolore o riferire di una sensazione di bruciore allo stomaco. I sintomi sono importanti: servono a indirizzare l’indagine clinica, ma come ben sappiamo i sintomi non sono assolutamente mai ritenuti sufficienti per fare diagnosi: possono ingannare. Un individuo può arrivare in pronto soccorso lamentando un fortissimo dolore allo stomaco, ma potrebbe venir riscontrata da un esame una pancreatite acuta, che nulla ha a che vedere con lo stomaco. Come in una indagine di polizia, i sintomi sono quindi semplici indizi, non sono prove che ci permettono di individuare il colpevole.

Ci sono poi i segni. Questi non appartengono alle affermazioni o lamenti del paziente: sono riscontri oggettivi che il medico constata, quali un fegato che è ingrossato, un rumore cardiaco anomalo, una paralisi facciale o un escreato sanguinolento. I segni, sempre tornando al nostro paragone con l’indagine poliziesca, sono prove.

Ulteriori prove possono venire infine dagli esami di laboratorio (esami del sangue, delle urine, ecc.) e dalla diagnostica strumentale (accertamenti radiologici, ecografie, doppler, miografie, risonanza magnetica, ecc.). Quando le prove sono sufficienti e convergono in modo inequivocabile, e solo allora, viene perfezionata la diagnosi.

Possiamo quindi ben vedere, ancora una volta, come ci si affidi, in medicina a valutazioni oggettive (od obbiettive come preferisce definirle il prof. Dioguardi), a prove tangibili: siamo nel campo della scienza.

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