Adhd: studio lombardo ridimensiona il problema e ridefinisce terapie

giù le mani dai bambini news

Fonte: Doctor33.it

In Lombardia, la prevalenza della Adhd (Attention deficit hyperactivity disorder) è del 3,5 per mille. Questo dato, frutto di una capillare e dettagliata indagine, smentisce clamorosamente le percentuali finora accettate a livello mondiale, secondo le quali i bambini e gli adolescenti iperattivi in modo patologico sarebbero quindici volte più numerosi: il 5,3% della popolazione tra i 5 e i 17 anni.
«Si parlava senza avere i dati», sostiene Maurizio Bonati, responsabile del Dipartimento di salute pubblica dell’Irccs Mario Negri di Milano e responsabile del Registro regionale, istituito nel 2011 nell’ambito di uno specifico progetto di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza e sostenuto dalla Direzione Generale Salute, con la finalità principale di garantire un’adeguata valutazione e terapia dell’Adhd.
«Ora invece – continua Bonati –  avendo concordato i criteri di diagnosi si è visto che le stime precedenti erano molto aleatorie. Ma non si tratta semplicemente di una questione statistica, potevano esserci conseguenze a livello terapeutico: il rischio era di aggravare le preoccupazioni, prima di tutto dei genitori, e di eccedere nella terapia farmacologica quando magari non ce n’era bisogno o andava utilizzata con più moderazione. Il disturbo è facilmente fraintendibile perché un certo grado di iperattività può rientrare nella norma dell’età, mentre chi è affetto da Adhd ha anche altri problemi, come difficoltà di concentrazione e di socializzazione. Del resto, se le stime precedenti fossero state corrette, si sarebbero bloccati tutti i servizi di neuropsichiatria per far davvero far fronte alle richieste».
Il trattamento, secondo gli esperti lombardi, deve essere prima di tutto di tipo psicologico, rivolto al bambino ma che coinvolga anche i genitori. «A questo, – dice Bonati – nelle forme gravi, e si è visto che sono veramente poche, è utile aggiungere anche il trattamento farmacologico. Quindi, non occorre negare il farmaco quando c’è bisogno ma prescriverlo solo dopo criteri attenti di valutazione e nell’ambito di un percorso psicologico».

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