Quei bambini vivaci che disturbano troppo

giù le mani dai bambini news
FoDi Giovanna Dall’Ongaro – LaRepubblica.it
In programma per il 27 marzo al festival del cinema di Bari, il lungometraggio sull’ADHD (Attention Deficit Hyperctivity Disorder), il tanto discusso disturbo tipico dell’infanzia invita a riflettere sulle questioni controverse: le cause, la diagnosi,  il trattamento farmacologico e i suoi effetti collaterali
LA PARLATA è quella tipica dei suoi coetanei romani, ma lo sguardo è già disincantato come quello di un adulto segnato dagli eventi della vita. E con la forzata saggezza dei suoi 19 anni, Armando riesce anche a sorridere mentre ripercorre di fronte alla macchina da presa i nove anni di terapia farmacologica per curarsi dall’ADHD (Attention Deficit Hyperctivity Disorder).
A partire da quando alle elementari aveva ottenuto il privilegio di poter masticare gomme americane per evitare quel tic sonoro che lo aiutava a concentrarsi, distraendo però gli altri compagni, fino ai primi tentativi di emanciparsi dalle medicine: niente pasticche nei week-end e durante le vacanze.
Sì perché, come mostra ampiamente il film di Stella Savino “ADHD- Rush Hour” (prodotto da PMI), in programma il 27 marzo al Bari International Film Festival 1, i sei sintomi di iperattività e disattenzione con cui il DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder, la bibbia della psichiatria giunta alla IV edizione) classifica il disturbo tipico dell’infanzia si manifestano soprattutto nelle aule scolastiche. O meglio, è lì che diventano un problema che esige una soluzione. Quale? Prima i farmaci, Strattera (atomoxetina) o Ritalin  (metilfenidato), e poi la psicoterapia per chi vive in America, più probabilmente il percorso inverso se ci si trova in Europa.
Il lungometraggio –  girato tra Italia, Svezia, Stati Uniti e Inghilterra – mette insieme storie di pazienti raccontate da madri visibilmente e comprensibilmente provate, testimonianze di psichiatri perplessi, chi sulla terapia farmacologica, chi sulla capacità di diagnosi, altri addirittura sulla classificazione dell’ADHD come malattia mentale. Ma anche resoconti di scienziati che indagano sulle origini genetiche del disturbo e sugli effetti collaterali delle medicine. Dettagli, raccolti con precisione dalla regista che formano un quadro d’insieme ancora molto sfumato.  Il film, che si è avvalso della consulenza scientifica di Stefano Canali professore di Storia delle Neuroscienze alla Sissa di Trieste, sarà distribuito da Microcinema.

FoDi Giovanna Dall’Ongaro – LaRepubblica.it

In programma per il 27 marzo al festival del cinema di Bari, il lungometraggio sull’ADHD (Attention Deficit Hyperctivity Disorder), il tanto discusso disturbo tipico dell’infanzia invita a riflettere sulle questioni controverse: le cause, la diagnosi,  il trattamento farmacologico e i suoi effetti collaterali

LA PARLATA è quella tipica dei suoi coetanei romani, ma lo sguardo è già disincantato come quello di un adulto segnato dagli eventi della vita. E con la forzata saggezza dei suoi 19 anni, Armando riesce anche a sorridere mentre ripercorre di fronte alla macchina da presa i nove anni di terapia farmacologica per curarsi dall’ADHD (Attention Deficit Hyperctivity Disorder).

A partire da quando alle elementari aveva ottenuto il privilegio di poter masticare gomme americane per evitare quel tic sonoro che lo aiutava a concentrarsi, distraendo però gli altri compagni, fino ai primi tentativi di emanciparsi dalle medicine: niente pasticche nei week-end e durante le vacanze.

Sì perché, come mostra ampiamente il film di Stella Savino “ADHD- Rush Hour” (prodotto da PMI), in programma il 27 marzo al Bari International Film Festival 1, i sei sintomi di iperattività e disattenzione con cui il DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder, la bibbia della psichiatria giunta alla IV edizione) classifica il disturbo tipico dell’infanzia si manifestano soprattutto nelle aule scolastiche. O meglio, è lì che diventano un problema che esige una soluzione. Quale? Prima i farmaci, Strattera (atomoxetina) o Ritalin  (metilfenidato), e poi la psicoterapia per chi vive in America, più probabilmente il percorso inverso se ci si trova in Europa.

Il lungometraggio –  girato tra Italia, Svezia, Stati Uniti e Inghilterra – mette insieme storie di pazienti raccontate da madri visibilmente e comprensibilmente provate, testimonianze di psichiatri perplessi, chi sulla terapia farmacologica, chi sulla capacità di diagnosi, altri addirittura sulla classificazione dell’ADHD come malattia mentale. Ma anche resoconti di scienziati che indagano sulle origini genetiche del disturbo e sugli effetti collaterali delle medicine. Dettagli, raccolti con precisione dalla regista che formano un quadro d’insieme ancora molto sfumato.  Il film, che si è avvalso della consulenza scientifica di Stefano Canali professore di Storia delle Neuroscienze alla Sissa di Trieste, sarà distribuito da Microcinema.

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