Psicofarmaci Diagnosi facili e tante: pillole così cambia la cura

Di: Elena Dusi – Fonte: La Repubblica

Psichiatra del King’ s College London, alla lettura delle bozze del nuovo “manuale della psichiatria”, quel Dsm-V che detterà ai medici di tutto il mondo i criteri per le diagnosie il trattamento dei loro pazienti. La quinta versione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (Dsm-V appunto) è attesa per il 2013. «Ma osservando i lavori preparatori, già si capisce che i criteri per diagnosticare le malattie mentali saranno ulteriormente allargati, dando modo ai medici di prescrivere ancora più farmaci», commenta Paolo Cioni, ex responsabile del servizio di salute mentale nella Asl di Firenze, attuale docente della scuola di specializzazione in Psichiatria dell’ università del capoluogo toscano e autore di Neuroschiavi (Macro Edizioni). Le preoccupazioni di Cioni si concentrano sulla prescrizione di farmaci antidepressivi: «Negli Usa i casi trattati tra il 1987 e il 1997 sono triplicati. Ormai dal lettino non passa quasi più nessuno. È molto più semplice prescrivere un farmaco; ci sono anche meno rischi per i medici». Il National Center for Health Statistics americano racconta che negli Usa undici persone su cento seguono una terapia con farmaci antidepressivi (le donne sono quasi il triplo degli uomini). In Italia i dati (Rapporto Osmed 2010) sul consumo di medicinali segnalano che per ogni mille abitanti si consumano 27,2 pillole “della felicità”. Il loro uso è triplicato tra il 1988 e il 2000 (Osservasalute 2010, università Cattolica) e la maggior parte delle prescrizioni arriva dai medici di famiglia. Ma che questi farmaci restituiscano la gioia perduta è vero solo a metà: secondo l’ Organizzazione mondiale della sanità l’ efficacia degli antidepressivi si ferma al 60 per cento dei pazienti che li assumono regolarmente. «Il consumo di questi farmaci diventerà sempre più facile» prevede Cioni. «Il nuovo Dsm, che viene redatto dall’ American Psychiatrical Association ma è adottato anche negli altri paesi, crea molta confusione sui sintomi. Nelle versioni precedenti, l’ aver subito un lutto era considerato un criterio di esclusione per la diagnosi di depressione. Non c’ è nulla di strano infatti nell’essere tristi dopo aver perso una persona cara. Le bozze della nuova versione del Dsm in effetti hanno una malattia per tutti. La “pandemia” delle malattie mentali ha una causa di fondo: la mancanza di criteri oggettivi per la diagnosi. Ma per Cioni, che ha parlato recentemente al convegno “Ai confini della mente e oltre”, la neurofisiologia può venire incontro ai medici. «Esistono indicatori fisiologici che possono essere usati, come la misurazione dell’attività elettrodermica, che è ridotta nella depressione, le alterazioni del ritmo cardiaco e del tono simpatico, l’ alterazione dell’elettroencefalogramma nel sonno o il fenomeno per cui, osservando scene spiacevoli, gli individui depressi non hanno reazioni normali come il trasalimento, che si misura tra l’ altro con l’ aumento del battito delle palpebre. Questi criteri vanno sicuramente approfonditi prima di essere considerati validi in assoluto. Ma hanno il vantaggio di togliere al medico la piena discrezionalità della diagnosi». Il rischio è che la depressione finisca ancora di più negli ingranaggi del marketing delle aziende farmaceutiche. Nel libro Storia segreta del male oscuro (ne parliamo nell’articolo accanto, ndr ), lo psicoterapeuta Gary Greenberg cita un esperimento del 2005 di Richard Kravitz, psichiatra dell’università della California. Kravitz prese alcuni attori e li mandò da 300 medici con l’ obiettivo di simulare i sintomi di una depressione e farsi prescrivere un farmaco. Missione compiuta per il 53% di chi aveva domandato un prodotto ben preciso e per il 76% di chi si era limitato a chiedere un antidepressivo qualsiasi.

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