Ecco perchè d’estate si riesce a stare male

giù le mani dai bambini news

Fonte: Solaris

La verità sulle Depressioni stagionali

Tra la psicosi dello spread, disastri meteo e le montagne russe del mercato azionario, per fortuna, scorre ancora afosa, placida e sonnolenta perfino questa estate. Eppure il vuoto delle città e il calo energetico estivo, per molti e forse anche per la categoria dei giornalisti, diventa un imperativo alla ricerca del brivido a tutti i costi. Iperattività, irrequietezza e perfino insonnia tentano di sostituirsi al vuoto estivo, quello – giusto per capirci – poi così desiderato fino a qualche mese prima. Tanto che perfino Celentano cantava: “Cerco l’estate tutto l’anno e all’improvviso, eccola qua…!”.
Solo che ora, con l’arrivo vero dell’estate e della calma piatta, arrivano inattese le angosce del vuoto e il senso di smarrimento. Pure il presidente Obama, con la partenza delle figlie per il campeggio, quando gli chiedono come affronta l’insolito silenzio della Casa Bianca, dichiara abbacchiato al “Sunday Morning”: “effettivamente sono un pò depresso!”. D’altra parte, se esiste il “Christmas Blues” (quello che prende all’avvicinarsi del Natale, dove tutti sembrano felici, tutti sembrano avere progetti per il gran giorno e per le altre feste, tutto luccica di luci e di carte colorate e noi – soltanto noi – ci sentiamo esclusi dalla festa), dovrà pur esistere un “Summer Blues”.
E infatti c’è: si chiama “Summer Sad”. Dove sad è un gioco di parole che, da una parte sta per “triste”, ma dall’altra è anche un acronimo che sta per “Seasonal Affective Disorder” (ah! … gli americani!!).
Effettivamente “… nell’area dei disturbi psichici assistiamo in estate a un incremento di alcune patologie”, spiega Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di neuroscienze dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano. Partenze di amici, chiusure di negozi, sospensioni di attività culturali: d’estate spariscono tutti punti di riferimento abituali e la vita sembra “chiudere” per riaprire a settembre. E’ il panico del vuoto, che prende tanti. Ma se da una parte, di fatto e tangibilmente, i dati dimostrano che esiste realmente un problema di “vuoto estivo”, dall’altra sembra davvero eccessivo costruirci attorno addirittura una categoria diagnostica. Con tanto di elenco di sintomi e – naturalmente – (non possono mai mancare) un elenco di psicofarmaci, belli pronti per l’occasione. E quindi: ansiolitici, barbiturici, neurolettici, triciclici e benzodiazepine che possono fare al caso.
L’abuso di psicofarmaci è stata e tuttora è, la voce più importante degli introiti della lobby internazionale del farmaco. Le vendite stellari negli ultimi 30 anni di questi farmaci non trova paragoni nella storia della medicina. Neppure per gli antibiotici, che sono una famiglia di farmaci pure molto utilizzati in tutto il mondo. Dal 1996 al 2005, negli USA, il consumo di psicofarmaci è raddoppiato e, nel 2008 la spesa nazionale USA – soltanto per questa tipologia di farmaci – ha raggiunto 164 milioni di prescrizioni per un totale di 9,6 miliardi di dollari. Ci si poteva costruire una nave spaziale per Andromeda, oppure trovare (non uno, ma) 10 vaccini per l’Ebola o trovare 20 diverse cure per l’Alzheimer, l’AIDS o l’Autismo. Forse perfino costruire la pace in medio-oriente (forse! … Beh, almeno mezza pace in medio oriente…).
Significa che gli interessi che gravitano intorno a questo tipo di farmaci sono davvero inimmaginabili. Le multinazionali farmaceutiche hanno un introito – soltanto dagli psicofarmaci, e soltanto dai cittadini nordamericani – paragonabile a 10 anni di prodotto interno lordo di paesi come il Marocco o il Bangladesh. Dieci anni di PIL di intere nazioni. È una cifra enorme.
Non stupisce quindi che le campagne contro l’abuso di psicofarmaci, presenti più o meno in tutti i paesi occidentali (vedi ad es. l’italiana “Giù le mani dai bambini” che noi di Solaris sponsorizziamo da molti anni, o l’omologa statunitense “Fight for Kids”), o le poche voci che da varie parti si sollevano trovino spesso un’ironica derisione da parte (di una parte) della classe medica nonchè delle potenti case farmaceutiche. Se soltanto una casa farmaceutica fattura 42,5 miliardi di franchi svizzeri l’anno, ha sedi in 150 paesi del mondo, stipendia centinaia di prestigiosi Studi Legali che difendono questo tipo d’interessi, il potere diretto e indiretto, è davvero molto grande.
Se attraverso misurate campagne mediatiche, gadget milionari ai promotori farmaceutici, sponsorizzazioni di articoli pseudo-scientifici e ricerche farmacologiche finanziate dalle stesse case farmaceutiche, e infine i giusti incentivi ai medici di base, nell’immaginario collettivo si riesce a fare un’operazione sconcertante: trasformare un temporaneo disagio stagionale, una fisiologica fluttuazione umorale, in una categoria diagnostica. Significa quindi aver ottenuto un salto cognitivo a livello sociale: da normale a patologico. E se qualcosa è patologico, beh! … allora ci vuole subito una cura: e la miglior cura qual’è? Se non una pillola?
Le previsioni per il futuro non sono rosee. I mercati finanziari ipotizzano che questo tipo di farmaci avranno, nei prossimi decenni, crescite ancor più impressionanti. Il settore degli psicofarmaci potrebbe rappresentare – da solo – fino all’80% dei ricavi di tutte le tipologie e famiglie di farmaci, compresi i cosiddetti “salva-vita” e gli oncologici. Rischiamo di diventare un pianeta di narcotizzati.
Ma qual’è il punto? Il punto è che l’uomo moderno ormai fugge da se stesso e non ne vuole sapere di ritrovarsi. Preferisce perdersi e seguire i canti delle sirene piuttosto che mettersi alla ricerca di se stesso. La percezione del vuoto è invece una condizione naturale dell’animo umano: è una circostanza che ci ricorda che siamo esseri viventi e non macchine. Ci ricorda che ognuno di noi ha l’improcrastinabile missione di trovare e dare un senso alla propria esistenza. E questa missione non può essere vicariata. Ognuno lo deve fare per se stesso.
L’insoddisfazione, la noia, la paura, la temporanea perdita di gioia sono condizioni naturali e fisiologiche dell’animo umano: non sono malattie. Sono semmai stimoli a migliorare. Non si vive in un costante orgasmo o in uno stato di perenne beatitudine. Il nostro cervello si è evoluto in milioni di anni per permetterci di percepire sensazioni, a volte, così sofisticate. E questo viaggio evolutivo non è affatto completato. Siamo individui evolutivamente in transizione verso un nuovo tipo di essere umano. Ciò, però, significa anche che ogni persona deve trovare il coraggio di mettersi alla ricerca del proprio progetto esistenziale e non immaginare che qualcuno o qualcosa (un farmaco) possano farlo in sua vece. Nè avere paura della paura o delle naturali (o stagionali) fluttuazioni umorali. Gli obiettivi da raggiungere devono essere quelli di dare un senso alla propria esistenza, costruire bellezza per sè e per gli altri, percepire la straordinaria abbondanza e ricchezza della vita, darsi il permesso di meritare la felicità. E questo si realizza soltanto con un autentico lavoro su se stessi.
Non voglio affermare che non esistano la depressione, gli attacchi di panico o altre psicopatologie. Ma sono convinto che molte di queste sono il frutto di una distorta percezione della propria solitudine, di un’assenza di contatto con se stessi e spesso di un isolamento affettivo ed esistenziale.
Lavorare su me stesso, cercare il mio progetto, mi ha reso felice, capace di amare e in pace con me stesso, ma non in ogni momento della mia vita. Ho le mie fluttuazioni umorali, affronto gioie e dolori, affronto successi e sconfitte ma non li vivo più come fallimenti personali.
Il vuoto estivo o natalizio saranno sempre presenti finchè non ritroveremo la nostra più intima essenza, se non ci avvieremo lungo il viaggio alla ricerca delle nostre profonde (e a volte scomode) verità. È più facile illudersi che un narcotico metta una pezza al nostro vuoto piuttosto che cercare di esprimere la nostra bellezza o esplorare la nostra più intima natura divina. La sensazione di mancanza di uno scopo può essere più intensa e violenta quando cambiano i ritmi quotidiani. Questo però dovrebbe incoraggiare ad interrogarci sul significato di questo vuoto, piuttosto che cercare di sfuggirlo come la peste.
Stiamo male (pure d’estate) perchè non immaginamo neppure di avere un potenziale creativo da sprigionare ed esprimere. Stiamo male perchè non cerchiamo veramente di costruire interiormente l’armonia, la pace, l’amore, la coralità, la felicità. Le pretendiamo già confezionate, bell’è pronte.
Magari in una pillola.
Read more: http://www.solaris.it/indexprima.asp?Articolo=2249#ixzz2VdTP1XEF
Tra la psicosi dello spread, disastri meteo e le montagne russe del mercato azionario, per fortuna, scorre ancora afosa, placida e sonnolenta perfino questa estate. Eppure il vuoto delle città e il calo energetico estivo, per molti e forse anche per la categoria dei giornalisti, diventa un imperativo alla ricerca del brivido a tutti i costi. Iperattività, irrequietezza e perfino insonnia tentano di sostituirsi al vuoto estivo, quello – giusto per capirci – poi così desiderato fino a qualche mese prima. Tanto che perfino Celentano cantava: “Cerco l’estate tutto l’anno e all’improvviso, eccola qua…!”.
Solo che ora, con l’arrivo vero dell’estate e della calma piatta, arrivano inattese le angosce del vuoto e il senso di smarrimento. Pure il presidente Obama, con la partenza delle figlie per il campeggio, quando gli chiedono come affronta l’insolito silenzio della Casa Bianca, dichiara abbacchiato al “Sunday Morning”: “effettivamente sono un pò depresso!”. D’altra parte, se esiste il “Christmas Blues” (quello che prende all’avvicinarsi del Natale, dove tutti sembrano felici, tutti sembrano avere progetti per il gran giorno e per le altre feste, tutto luccica di luci e di carte colorate e noi – soltanto noi – ci sentiamo esclusi dalla festa), dovrà pur esistere un “Summer Blues”.
E infatti c’è: si chiama “Summer Sad”. Dove sad è un gioco di parole che, da una parte sta per “triste”, ma dall’altra è anche un acronimo che sta per “Seasonal Affective Disorder” (ah! … gli americani!!).
Effettivamente “… nell’area dei disturbi psichici assistiamo in estate a un incremento di alcune patologie”, spiega Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di neuroscienze dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano. Partenze di amici, chiusure di negozi, sospensioni di attività culturali: d’estate spariscono tutti punti di riferimento abituali e la vita sembra “chiudere” per riaprire a settembre. E’ il panico del vuoto, che prende tanti. Ma se da una parte, di fatto e tangibilmente, i dati dimostrano che esiste realmente un problema di “vuoto estivo”, dall’altra sembra davvero eccessivo costruirci attorno addirittura una categoria diagnostica. Con tanto di elenco di sintomi e – naturalmente – (non possono mai mancare) un elenco di psicofarmaci, belli pronti per l’occasione. E quindi: ansiolitici, barbiturici, neurolettici, triciclici e benzodiazepine che possono fare al caso.
L’abuso di psicofarmaci è stata e tuttora è, la voce più importante degli introiti della lobby internazionale del farmaco. Le vendite stellari negli ultimi 30 anni di questi farmaci non trova paragoni nella storia della medicina. Neppure per gli antibiotici, che sono una famiglia di farmaci pure molto utilizzati in tutto il mondo. Dal 1996 al 2005, negli USA, il consumo di psicofarmaci è raddoppiato e, nel 2008 la spesa nazionale USA – soltanto per questa tipologia di farmaci – ha raggiunto 164 milioni di prescrizioni per un totale di 9,6 miliardi di dollari. Ci si poteva costruire una nave spaziale per Andromeda, oppure trovare (non uno, ma) 10 vaccini per l’Ebola o trovare 20 diverse cure per l’Alzheimer, l’AIDS o l’Autismo. Forse perfino costruire la pace in medio-oriente (forse! … Beh, almeno mezza pace in medio oriente…).
Significa che gli interessi che gravitano intorno a questo tipo di farmaci sono davvero inimmaginabili. Le multinazionali farmaceutiche hanno un introito – soltanto dagli psicofarmaci, e soltanto dai cittadini nordamericani – paragonabile a 10 anni di prodotto interno lordo di paesi come il Marocco o il Bangladesh. Dieci anni di PIL di intere nazioni. È una cifra enorme.
Non stupisce quindi che le campagne contro l’abuso di psicofarmaci, presenti più o meno in tutti i paesi occidentali (vedi ad es. l’italiana “Giù le mani dai bambini” che noi di Solaris sponsorizziamo da molti anni, o l’omologa statunitense “Fight for Kids”), o le poche voci che da varie parti si sollevano trovino spesso un’ironica derisione da parte (di una parte) della classe medica nonchè delle potenti case farmaceutiche. Se soltanto una casa farmaceutica fattura 42,5 miliardi di franchi svizzeri l’anno, ha sedi in 150 paesi del mondo, stipendia centinaia di prestigiosi Studi Legali che difendono questo tipo d’interessi, il potere diretto e indiretto, è davvero molto grande.
Se attraverso misurate campagne mediatiche, gadget milionari ai promotori farmaceutici, sponsorizzazioni di articoli pseudo-scientifici e ricerche farmacologiche finanziate dalle stesse case farmaceutiche, e infine i giusti incentivi ai medici di base, nell’immaginario collettivo si riesce a fare un’operazione sconcertante: trasformare un temporaneo disagio stagionale, una fisiologica fluttuazione umorale, in una categoria diagnostica. Significa quindi aver ottenuto un salto cognitivo a livello sociale: da normale a patologico. E se qualcosa è patologico, beh! … allora ci vuole subito una cura: e la miglior cura qual’è? Se non una pillola?
Le previsioni per il futuro non sono rosee. I mercati finanziari ipotizzano che questo tipo di farmaci avranno, nei prossimi decenni, crescite ancor più impressionanti. Il settore degli psicofarmaci potrebbe rappresentare – da solo – fino all’80% dei ricavi di tutte le tipologie e famiglie di farmaci, compresi i cosiddetti “salva-vita” e gli oncologici. Rischiamo di diventare un pianeta di narcotizzati.
Ma qual’è il punto? Il punto è che l’uomo moderno ormai fugge da se stesso e non ne vuole sapere di ritrovarsi. Preferisce perdersi e seguire i canti delle sirene piuttosto che mettersi alla ricerca di se stesso. La percezione del vuoto è invece una condizione naturale dell’animo umano: è una circostanza che ci ricorda che siamo esseri viventi e non macchine. Ci ricorda che ognuno di noi ha l’improcrastinabile missione di trovare e dare un senso alla propria esistenza. E questa missione non può essere vicariata. Ognuno lo deve fare per se stesso.
L’insoddisfazione, la noia, la paura, la temporanea perdita di gioia sono condizioni naturali e fisiologiche dell’animo umano: non sono malattie. Sono semmai stimoli a migliorare. Non si vive in un costante orgasmo o in uno stato di perenne beatitudine. Il nostro cervello si è evoluto in milioni di anni per permetterci di percepire sensazioni, a volte, così sofisticate. E questo viaggio evolutivo non è affatto completato. Siamo individui evolutivamente in transizione verso un nuovo tipo di essere umano. Ciò, però, significa anche che ogni persona deve trovare il coraggio di mettersi alla ricerca del proprio progetto esistenziale e non immaginare che qualcuno o qualcosa (un farmaco) possano farlo in sua vece. Nè avere paura della paura o delle naturali (o stagionali) fluttuazioni umorali. Gli obiettivi da raggiungere devono essere quelli di dare un senso alla propria esistenza, costruire bellezza per sè e per gli altri, percepire la straordinaria abbondanza e ricchezza della vita, darsi il permesso di meritare la felicità. E questo si realizza soltanto con un autentico lavoro su se stessi.
Non voglio affermare che non esistano la depressione, gli attacchi di panico o altre psicopatologie. Ma sono convinto che molte di queste sono il frutto di una distorta percezione della propria solitudine, di un’assenza di contatto con se stessi e spesso di un isolamento affettivo ed esistenziale.
Lavorare su me stesso, cercare il mio progetto, mi ha reso felice, capace di amare e in pace con me stesso, ma non in ogni momento della mia vita. Ho le mie fluttuazioni umorali, affronto gioie e dolori, affronto successi e sconfitte ma non li vivo più come fallimenti personali.
Il vuoto estivo o natalizio saranno sempre presenti finchè non ritroveremo la nostra più intima essenza, se non ci avvieremo lungo il viaggio alla ricerca delle nostre profonde (e a volte scomode) verità. È più facile illudersi che un narcotico metta una pezza al nostro vuoto piuttosto che cercare di esprimere la nostra bellezza o esplorare la nostra più intima natura divina. La sensazione di mancanza di uno scopo può essere più intensa e violenta quando cambiano i ritmi quotidiani. Questo però dovrebbe incoraggiare ad interrogarci sul significato di questo vuoto, piuttosto che cercare di sfuggirlo come la peste.
Stiamo male (pure d’estate) perchè non immaginamo neppure di avere un potenziale creativo da sprigionare ed esprimere. Stiamo male perchè non cerchiamo veramente di costruire interiormente l’armonia, la pace, l’amore, la coralità, la felicità. Le pretendiamo già confezionate, bell’è pronte.
Magari in una pillola.

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