Troppe diagnosi e troppe prescrizioni di psicofarmaci ai bambini: evidenze e inchieste su cui riflettere

Troppe diagnosi e troppe prescrizioni di psicofarmaci ai bambini: evidenze e inchieste su cui riflettere

Articolo di TerraNuova – giugno 2018

Resta attualissimo il problema delle sovra-diagnosi e della sovra-prescrizione di psicofarmaci in età pediatrica: ci sono evidenze scientifiche, sono state fatte inchieste giornalistiche. È ora di riflettere attentamente su questo problema-emergenza.

irca il tema della sovra-diagnosi e sovra-prescrizione di psicofarmaci per l’età pediatrica, vi è un’ampia bibliografia, in larga parte contenuta nel data-base www.giulemanidaibambini.org  .

In ogni caso, ci sono due interessanti risorse per l’approfondimento, una su ScienceDirect  e l’altra sul Daily Mail 

Inoltre, la comunità scientifica non è affatto concorde circa i criteri diagnostici del DSM (il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), come dimostra un articolo comparso su MedicItalia  , che in calce ha una bibliografia e diverse fonti scientificamente attendibili. Fu alla fine degli anni ’90 che il fenomeno crebbe rapidamente, anche fuori dagli States, e la Drug Enforcement Agency affermò : “Il commercio di questo prodotto (il metilfenidato, ndr) rappresenta uno dei migliori business di tutto il mercato farmaceutico: si passa, infatti, dalle 2,8 tonnellate del 1990 alle 15,3 tonnellate del 1997, con un aumento del 546 per cento in soli sette anni. Un affare da 2 miliardi di dollari ogni anno. Inoltre si stima che dal 1990 al 1995, le ricette di Ritalin siano aumentate del 600 per cento”.

In un rapporto del 23 febbraio 1999 il Consiglio Internazionale per il Controllo dei Narcotici (INCB) lanciò un preoccupato allarme: “L’uso di sostanze eccitanti, metilfenidato, per la cura dell’ADHD è aumentato di un sorprendente 100 per cento in più di 50 paesi. In molti paesi – Australia, Belgio, Canada, Germania, Islanda, Irlanda, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Spagna e Regno Unito – l’uso delle sostanze stupefacenti potrebbe raggiungere livelli alti quanto quelli degli Stati Uniti, che al momento consumano più dell’85 per cento della quantità totale mondiale. Il Consiglio si appella affinchè le nazioni valutino la possibile sovrastima dell’ADHD  e frenino l’uso eccessivo del metilfenidato. I pazienti curati con questa droga, che all’inizio degli anni Novanta erano per la maggior parte studenti della scuola elementare, includono ora un numero crescente di bambini, adolescenti ed adulti. Negli Stati Uniti, è stata diagnosticata l’ADHD nei bambini di appena un anno”. 

Orbene, premesse le critiche ai criteri di diagnosi di cui sopra, la vendita di farmaci per l’ADHD si è consolidata come un redditizio business nella seconda metà degli anni ’90, per poi stabilizzarsi senza mai diminuire. Il New York Times ha pubblicato un lungo rapporto investigativo dal titolo “La vendita del disturbo da deficit di attenzione”  , che è un convincente resoconto di come le compagnie farmaceutiche hanno perseguito strategie aggressive e ingannevoli (per esempio disease mongering) per potenziare le diagnosi di Disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) e promuovere vendite di farmaci per un crescente bacino di potenziali utenti.

Gli stessi identici discorsi si possono e dovrebbero fare per la depressione in fascia adolescenziale, la nuova patologia del millennio, e – per qualcuno – il nuovo business. Il ricorso ai farmaci antidepressivi per trattare bambini e adolescenti è sempre più frequente, e in crescita: in cinque paesi occidentali – Usa, Gran Bretagna, Germania, Danimarca e Olanda – è aumentato del 40% negli ultimi 7 anni. Si tratta di una tendenza mondiale  , come confermato da un recente studio pubblicato sull’European Journal of Neuropsychopharmacology: i dati della ricerca mostrano infatti che in Gran Bretagna il numero antidepressivi prescritti ai minori è cresciuto del 54%, del 60% in Danimarca, del 49% in Germania, del 26% negli Stati Uniti e del 17% in Olanda; maggiori incrementi si sono registrati nelle fasce d’età tra 10 e 19 anni, e i farmaci più utilizzati sono quelli a base di citalopram, fluoxetina e sertralina. “L’uso di antidepressivi nei giovani è preoccupante – ha commentato il Dott. Shekhar Saxena, Direttore della Salute Mentale dell’OMS – una preoccupazione aggravata dal fatto che i farmaci dati ai giovani nella maggior parte dei casi non sono autorizzati per gli under 18”. Recentemente, ad esempio, le evidenze scientifiche hanno dimostrato al di la di ogni ragionevole dubbio l’elevato profilo di rischio della paroxetina, che è la molecola più prescritta – in modalità off label – per la depressione in età adolescenziale: l’imponente revisione sistematica promossa dalla più autorevole rivista medica del mondo, il British Medical Journal, non lascia spazio a dubbi, e conferma che i dati che finora hanno giustificato la prescrizione a bambini e adolescenti di questo antidepressivo – prescritto anche in Italia – erano stati falsati dal produttore, la multinazionale farmaceutica GSK – GlaxoSmithKline, e che questa molecola è “inefficace e pericolosa”. Lo studio alla base delle richieste di AIC (Autorizzazione all’Immissione in Commercio) di questo farmaco, studio denominato “329”, era stato pubblicato nel lontano 2001, a firma di 22 ricercatori, e originariamente pareva confermare l’appropriatezza d’uso per questa molecola nei casi di depressione. In realtà, la ricerca fu redatta da Sally K. Laden, una ghostwriter pagata dalla casa farmaceutica che aveva finanziato la ricerca allo scopo di dimostrare l’efficacia della molecola. 

Ci sono voluti poi 14 anni, e la tenacia di validi ricercatori, per ribaltare i risultati dello studio, e dimostrare che la paroxetina aumenta il rischio di suicidio per i minori che la assumono. Il tutto, nell’indifferenza delle autorità di controllo sanitario: ad esempio in Italia nessuna istituzione preposta pare abbia preso provvedimenti solleciti e incisivi a migliore tutela della salute dei minori, tanto che ad oltre 2 mesi dalla pubblicazione delle nuove evidenze scientifiche, nessun “warning” era stato pubblicato sui siti web delle autorità pubbliche né delle società scientifiche; e nessun comunicato era stato emesso ai mass-media, pregiudicando de facto l’accesso all’informazione da parte della cittadinanza.

Tutto ciò dovrebbe essere sufficiente a suggerire l’opportunità di inserire l’abuso nella prescrizione e assunzione di psicofarmaci in età pediatrica, specie per problematiche che sarebbero affrontabili con terapie non farmacologiche scientificamente validate, tra gli approcci terapeutici impropri.

Nel contempo, vi sono vari studi che contestano la sovra-diagnosi, come ad esempio il database “IMS LifeLink LR  “: è un enorme database di circa 60 milioni di persone che organizza i dati per età e tipologia di farmaci e non per patologia. Non essendo organizzati per patologia, “vale tutto”. Ad esempio nell’articolo si afferma: “L’analisi ha rivelato che al 4,6% dei bambini più grandi e il 3,8% degli adolescenti sono stati prescritti stimolanti; questo è ben al di sotto delle stime di prevalenza ADHD pubblicate dalla comunità nazionale dell’8,6%”. Ma gli stimolanti non vengono prescritti solo per l’ADHD, e viceversa l’ADHD viene “curata” anche con psicofarmaci non stimolanti (basti pensare alle corpose vendite di farmaci a base di atomoxetina, che come ben sai non è una molecola che rientra sotto la classificazione degli “stimolanti”).

E’ tra l’altro arcinoto da sempre che la medicalizzazione è ovunque più bassa della prevalenza della patologia (e vorrei anche vedere…). Questo ha molte spiegazioni, non ultima che molti psichiatri e specialisti non credono esista l’ADHD come categoria diagnostica a se stante  , in quanto la classificano come una costellazione aspecifica di sintomi riconducibili ad altre patologie, per cui non prescrivono lo psicofarmaco, come ad esempio buona parte della psichiatria francese, che lo considera un disturbo psicosociale. Questo non significa affatto che non vi sia sovra-prescrizione di psicofarmaci *rispetto alle necessità dei pazienti*: il punto è che vi è ovunque un costante sovradimensionamento del fenomeno; ovviamente se io sovradimensiono l’incidenza e sostengo che su 1 milione di persone il 10% sono malate di mente, ne deriva che se do meno del 10% di psicofarmaci non sono tecnicamente colpevole di sovradiagnosi: ma se noi andiamo a ragionare sui *criteri* con i quali si appone l’etichetta della malattia, e comprendiamo che sono quanto mai largheggianti – vedi le critiche al DSM, il Manuale Diagnostico per i Disturbi Mentali, che “inventa” nuove patologie ad ogni nuova edizione – ne deriva che tutti i criteri applicati sono fallaci.

Specie in un periodo di profonda e duratura crisi finanziaria quale quello che stiamo da anni vivendo, i decisori dovrebbero riflettere su quanto sia sbagliato lasciare spazio a terapie di dubbia efficacia, buone spesso solo per rimpinguare le casse delle multinazionali farmaceutiche a spese dei sistemi sanitari pubblici, invece che promuovere un’analisi senza pregiudizi dei fattori di rischio per la salute mentale dei più piccoli indotti da stress e da fattori riconducibili all’ambiente che li circonda, creato da noi adulti, e del tutto inadeguato a garantire uno sviluppo sereno e armonico di bambini e adolescenti.

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