Lettera pubblica per avviare una discussione sul protocollo DSA

giù le mani dai bambini news

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, una lettera aperta della Dott.ssa Francesca Carfora, Presidente dell’Associazione Genitori di Nidi Veneziani, indirizzata alle Commissioni competenti nel Consigli Regionale del Veneto, e che chiede una attenta revisione dei criteri di individuazione dei cosiddetti “DSA”: come da sempre dice il nostro Comitato, è necessario operare con la massima vigilanza, affinchè le scuole – e i nidi a maggior ragione – non siano trattati come “anticamere delle ASL”. La scheda di individuazione precoce dei DSA adottata dalla Regione Veneto è disponibile a questo link.

Spettabili membri della 5° e della 6° Commissione della Regione Veneto,

sono la presidente dell’Associazione Genitori Nidi Veneziani, costituitasi nel 2008 quando a Venezia un progetto promosso dal Comune, dalla Municipalità e dal Dipartimento di Neuropsichiatria infantile voleva far somministrare, dalle maestre dei nidi veneziani, un test psicopatologico come il Quit a bambini dai 6 ai 36 mesi. Vi ricorderete certamente che in quell’occasione riuscimmo, anche all’aiuto di alcuni di voi, a bloccarlo.
Ci rivolgiamo a Voi per sottoporVi un’importantissima e delicata questione che riguarda i bambini in età scolare e prescolare.
Oggi purtroppo, a distanza di pochi anni, Venezia e il Veneto si trovano un’altra volta a dover fare i conti con questa modalità medicalizzante che, sempre passando attraverso la scuola, vuole imporre una visione distorta dell’infanzia.
Mi scuso sin d’ora se la mia mail sarà un po’ lunga, ma penso sia giusto articolare alcuni punti importanti.
Nel testo a seguire evidenziamo come, pur partendo dal proposito di voler aiutare i bambini, le etichettature improprie derivanti dall’osservazione estremamente precoce dei bambini, come previsto dalla legge 170/2010, dalla legge regionale n.16 del 04/03/2010 e dal Protocollo d’intesa per le Attività di Identificazione Precoce dei Casi Sospetti di DSA, siano invece estremamente stigmatizzanti.

La scuola, che per sua natura dovrebbe includere i singoli bambini, è chiamata invece da queste leggi a svolgere prove di massa, ritenute strumento appropriato per identificare difficoltà di bambini che possono essere invece transitorie e dovute a fattori diversi, e non necessariamente aventi una “base neurobiologica”. Non si può non tener conto che il dato statistico è un requisito collegato all’accreditamento dei Servizi di Neuropsichiatria, che prevedono standard americani trattati però come universali (vedi DSM-5 e ICD-10) che non tengono conto del differente sviluppo dei singoli Paesi.

E’ preoccupante che in ambito scolastico si stia utilizzando sempre più quella che appare essere un’etichettatura, uno stigma psichiatrico, che grazie alla “attenta osservazione” attuata dalle maestre della scuola dell’infanzia, le quali sono chiamate a redigere una scheda che verrà “comunque” trasmessa alla scuola primaria (pg.17 Protocollo- e pg. 30 del Quaderno), istituiscono formalmente un atto pregiudiziale al modo di guardare il bambino/a, che si troverà così a dover dimostrare, di essere o non essere portatore di un disturbo e non, che si impegna ad imparare, secondo la sua specificità e i suoi tempi.

Tale scheda non è uno strumento neutro, nemmeno il criterio statistico di massa è neutro, dato che si tratta di “prerequisito necessario all’invio per una diagnosi” presso i Servizi di Neuropsichiatria, aventi oggi un differente nome, quali Centri Territoriali Sviluppo o Unità Operativa Per Sostegno Età Evolutiva, che li rende non immediatamente riconoscibili ai famigliari dei bambini.

L’uso della certificazione per dare risposte ai bisogni ci appare inappropriato e in sè non risolve la difficoltà che alcuni bambini presentano.

Quali risposte? Da chi? Economicamente a carico di chi, qualora siano rilevati dei bisogni? Risposte come attività abilitanti, di relazione o invece, delegate principalmente a strumenti compensativi informatici?

L’estrema anticipazione di questa “identificazione precoce” che viene dichiarata riguardare l’età dell’obbligo scolastico, viene invece fatta partire dal 1° anno della scuola dell’infanzia, ma questo si evince solo dopo attenta lettura degli allegati.

Sarebbe inoltre da fare una profonda riflessione se siano appropriate le risposte quando sostituiscano la “relazione didattico-pedagogica dell’insegnante con l’alunno” o se, evidenziato un problema non didatticamente risolvibile, la “relazione abilitante di professionisti del linguaggio, del movimento ecc” con una delega a strumenti compensativi informatici.

Sappiamo che è stata fatta richiesta alla Giunta e all’Assessore alla Sanità di “rivedere le direttive per la diagnosi e la certificazione dei disturbi specifici dell’apprendimento”. Premesso che nessuno misconosce il fatto che ci siano bambini che presentano delle difficoltà, poniamo una domanda, come mai nelle stime ufficiali riportate, dal documento redatto dal dott. Rampazzo datato 4/12/12,( che corrispondono alle cifre di a quello che alleghiamo qui sotto,) cifre e percentuali riportate anche dal rappresentante del Ministero dell’istruzione,il dott. Raffaele Ciambrone ad Handimatica 2012, si parla per il Veneto dell’1,1% mentre le stime riportate da alcuni articoli, che sono peraltro le stesse che compaiono sul sito della Regione Veneto, dichiarano che soffrirebbero di DSA dal 20% al 25 % della popolazione scolastica della scuola dell’obbligo? Occorre tener presente che nelle stime del MIUR, il Nord si aggira intorno all’1,6% contro lo 0,2% 0,3% del Sud, con un unico picco del 5% solo a Modena (questi i dati fornito dal MIUR e risalenti al 2012), quindi, chiediamo venga data una spiegazione chiara di come e perché la Regione Veneto pubblichi, sul sito ufficiale, dati così discrepanti dai dati del MIUR e così allarmanti? Sempre sul sito troviamo infatti scritto: “Molti casi sono “lievi” e non vengono identificati tempestivamente; spesso i casi misconosciuti si complicano con disturbi emozionali e comportamentali; insorti come conseguenza del problema, che in un mondo di istruzione obbligatoria e molto penalizzante. Nel 60% dei casi i DSA non sono isolati e si associano fin dall’inizio a disturbi dell’attenzione, della condotta e psicopatologici”.

Come secondo punto, partendo dal presupposto che quei ragazzi che presentino delle difficoltà di apprendimento, che, dopo un congruo periodo di tempo e di tentativi in ambito didattico-pedagogico, si dimostrano necessitanti di un supporto più articolato, abbiano il diritto di ricevere tutto l’aiuto necessario, ci teniamo però a farle notare che il protocollo siglato tra la Regione del Veneto el’Ufficio Scolastico Regionale “Protocollo d’intesa Per Le Attività di Identificazione Precoce dei Casi Sospetti di Dsa – Disturbi Specifici Dell’apprendimento– di cui all’art. 7, c.l, della Legge 8 ottobre 2010, n. 170” è un documento che presenta molte criticità e punti oscuri. Questo protocollo deve essere letto con estrema attenzione, e nella sua interezza, allegati compresi,poiché è scritto in modo che, a una prima lettura, possano sfuggire degli elementi essenziali.

Poiché del Protocollo ci sono due edizioni, una, quella ufficiale fornita dal sito della Regione Veneto e una nella versione, sempre ufficiale ma che viene data alle scuole, che si trova all’interno di un Quaderno Operativo dell’USR del Veneto. Quest’ultima è più articolata, perché contiene anche molti altri riferimenti, e quindi per questo un po’ dispersiva, ma nella quale si trovano le stesse cose, solo a pagine differenti. A tale scopo nella nostra disamina citeremo entrambi i riferimenti di pagina per una più semplice lettura, non sapendo di quale copia siate sia in possesso.

Questo Protocollo fa partire in modo assolutamente inappropriato e arbitrario questo genere di “attività di individuazione precoce dei casi sospetti di DSA”già dal 1° anno della scuola dell’infanzia, (Allegato A3 pg.13 Protocollo opg. 24 del Quaderno) cioè su bambini di tre anni, e dal 1°anno della scuola primaria,nonostante siachiaramente detto che “non si possono riconoscere con certezza segni di DSA se non alla fine della 2° o all’inizio della 3° classe primaria(pg. 1 Protocollo e pg. 7 Quaderno), visto che i test sono stati validati per bambini che abbiano raggiunto quell’età, e che quindi siano stati a contatto con una scolarizzazione per almeno due o tre anni, e nonostante non vi sia alcuna prova scientifica (esame di laboratorio riproducibile e non solo ipotesi teoriche), né della teoria della dislessia, secondo cui esisterebbe una disfunzione del funzionamento di alcuni gruppi di cellule cerebrali deputate alla decodifica delle lettere, nédi altre ipotesi inerenti le DSA.

In riferimento a quanto scritto nel punto 10 ( pg. 3 del Protocollo o pg. 10 del Quaderno), “l’identificazione precoce dei casi con sospetta evoluzione in DSA avviene in coerenza con le linee guida di cui all’Allegato A3, parte integrante del protocollo”, dove si parla di terzo anno della scuola dell’infanzia, ma nello stesso Allegato A3 (pg.13 Protocollo opg. 24 nella versione del Quaderno) ci sono le “Proposte operative […] che pongono l’intervento “nel 1° anno della scuola dell’infanzia”quindi a tre anni. Inoltre, nella pagina sucessiva, l’ultima frase delle proposte operative lascia intendere che, se dopo un certo numero di mesi i genitori continuano a “non condividere le preoccupazioni degli insegnanti”, “la scuola richiede una consulenza specialistica”, cosa che anche a parere di alcuni legali è, in modo neanche tanto sott’inteso, una violazione dei diritti dei genitori di poter decidere sull’avvenire dei propri figli.

Inoltre è il caso di sottolineare il fatto, per niente marginale, che alla scuola sia attribuito per legge “il compito di doversi attivare per fare un’identificazione precoce dei DSA”, che per modi e forma è assolutamente similare a una diagnosi, cosa questa che pone due grosse questioni:

1) La prima è che non dovrebbe spettare alla scuola fare un’identificazione/ diagnosi precoce dei DSA, in quanto alla scuola spetta un ruolo didattico-pedagogico che nulla ha a che fare con un’attività diagnostica, che invece pur negata da un lato: “lo strumento non ha finalità diagnostiche”(vedi pg. 16 Protocollo o pg. 30 Quaderno), viene invece esplicitata dall’altro quando al punto 3 ( pg. 2 del protocollo o pg. 9 del Quaderno) c’è scritto: “La comunicazione scritta predisposta dalla scuola per i genitori e consegnata loro per l’invio ai Servizi costituisce il prerequisito necessarioall’attivazione del percorso di approfondimento diagnostico”, come se, (come ha fato notare uno dei tanti pediatri che con noi sostengono l’inapropriatezza e la pericolosità di questo protocollo),quando l’alunno lamenta un forte mal di pancia, l’insegnante si accertasse “osservandolo attentamente” se l’addome è trattabile prima di chiamare i genitori o il medico. Non dimentichiamoci che a tutt’oggi per accedere ai Servizi specialistici del SSN l’impegnativa del medico di base è prerequisito necessario.

2) La seconda questione è che, se come pare a molti, si evince che un simile atteggiamento indotto, magari da una non corretta interpretazione della legge,possa essere pregiudiziale e possa indurre un inappropriato atteggiamento medicalizzante verso l’infanzia, allora è nostro esplicito dovere fare in modo che la legge e il protocollo siano modificati, proprio per far sì che siano individuati e supportati solo quegli alunni che veramente presentano delle difficoltà tali da non poteressere sostenute e modificate da nessun corretto aiuto didattico-pedagogico.

Come dicevamo le percentuali reali di soggetti con DSA sono molto al di sotto delle percentuali erroneamente citate e che vengono pubblicizzate, anche a sproposito, non solo sulla stampa, ma anche nel sito della Regione Veneto. Le percentuali reali in Veneto si aggirano intorno all’1,1%- 1,2%, (che comunque è una cifra notevole) quindi ben lontani non solo dal 20%-25%, ma anche dall’auspicato 4% previsto dalle statistiche dell’American Psychiatric Association, che però malauguratamente sono prese come parametro di misura dagli studi italiani del settore.

C’è da dire che di primo acchito il Protocollo pare promuovere, un atteggiamento di prudenza quando attribuisce alla scuola “l’attività di individuazione precoce dei casi sospetti di DSA” per “evitare di segnalare gli alunni che presentano difficoltà di apprendimento non legate a un disturbo” come si legge nelle premesse (pg. 1 Protocollo o pg. 7 Quaderno), così anche in base alle raccomandazioni del punto 5 (pg. 3 Protocollo o pg. 10 Quaderno).

Però, ad una più attenta lettura, troviamo che nell’allegato A3(pg. 11 del Protocollo o pg. 19/20 Quaderno), viene detto che: “in presenza di uno o più indicatori che rappresentano una situazione di rischio”, ma anche in bambini che “non presentano evidenti o pregnanti difficoltà nell’acquisizione” delle varie tappe dell’apprendimento, “non si può predire con certezza se la difficoltà di apprendimento evolverà positivamente o sfocerà in uno o più disturbi DSA”, e questo viene giustificato dicendo che la “presenza dei sintomi DSA e le sue manifestazioni poggiano su base neurobiologica”. Premesso che questa affermazione non trova alcun tipo di riscontro scientifico serio e oggettivo, non c’è infatti alcun test di laboratorio che possa confermare una simile affermazione, è essa stessa pregiudiziale in quanto pone le basi per dire qualche riga dopo che qualunque “tipo di azione dell’insegnante e un intervento abilitativo possono ridurre gli effetti secondari del Disturbo, quando diagnosticato […], ma non i sintomi cardine”, frase che viene lievemente sfumata, ma non troppo, nel suo senso assoluto, poco sotto quando si legge che: “la tempestività dell’azione educativo-didattica” “può ridurre gli effetti delle problematiche […], e “rende maggiormente efficace qualsiasi azione di tipo riabilitativo”. Ma, l’uso del termine riabilitativo, non risulta inappropriato quando si tratta di insegnare a leggere e a scrivere a un bambino delle elementari? NonLe sembrastridere terribilmente con un’azione educativa, didattica e pedagogica? Alle rassicurazioni di alcune maestre di scuola dell’infanzia, e della materna che dicono che loro “mai” segnalerebbero un bambino così piccolo, ma che questo genere d’identificazione serve per “prenderli in tempo”, rispondono le molte voci che si stanno alzando per cercare di fermare questa assurda medicalizzazione dell’infanzia, che lascia intravedere tra le sue trame lo spettro, per niente rassicurante, di un esercito di bambini certificati perché considerati portatori di un disturbo cerebrale, da curare in caso anche con le ultime molecole (stanno già girando articoli che alludono a “nuove molecole” per aiutare coloro che “soffrono di problemi della memoria e dell’attenzione”). Siamo in molti (oltre all’associazione Genitori Nidi Veneziani, ci sono anche la Consulta della Salute del Comune di Venezia, l’Associazione culturale pediatri del Veneto, l’Associazione psicanalitica il tempo della parola, il Movimento culturale Pensare Oltre, il Movimento culturale Giù le mani dai bambini, MCe Movimento Cooperazione educativa e molte altre associazioni, oltre a molti insegnanti, genitori e vari professionisti) a scorgere le varie criticità di questa legge e di questo protocollo, e ci sono molti e illustri rappresentanti del mondo accademico e istituzionale che stanno lanciando l’allarme rispetto all’abuso diagnostico e all’esponenziale crescita del numero delle richieste di invio per una certificazione di bambini sani o che presentano “solo disturbi comuni”. Solo per citarne alcuni:

Il direttore dall’Istituto di Ortofonologia (IdO) di Roma, Federico Bianchi di Castelbianco, ha dichiarato in conferenza stampa a Montecitorio di fronte all’On. Binetti:

“Troppi bambini in Italia sono considerati dislessici, ma in realtà hanno solo disturbi comuni” […] “i risultati di un’indagine condotta in numerose scuole materne ed elementari per individuare i bambini a rischio di Disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa), sottolinea che una percentuale elevata di bambini è stata erroneamente indicata a rischio Dsa”, e […]“segnalare come dislessici bambini che in realtà non lo sono comporta due gravi rischi: sono dirottati su percorsi alternativi come portatori di una disabilità che non hanno, con oneri economici non sostenibili e totalmente inutili, mentre il loro problema non solo non verrà affrontato ma lascerà un vuoto di conoscenze che si ripercuoterà pesantemente sul loro curriculum studiorum”.http://www.orizzontescuola.it/news/italia-troppi-bambini-sono-considerati-dislessici-ma-realt%C3%A0-hanno-solo-disturbi-comuni?page=2

Mentre la Prof.ssa Vincenza Palmieri, Presidente dell’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare, alla notizia che presso l’unità di neuropsichiatria infantiledel Bambin Gesù di Roma, in un periodo in cui chiudono interi reparti essenziali per la comunità, si sia inaugurato un nuovo reparto di neuropsichiatria per minori che dispone di 8 nuovi posti letto, costati 3 milioni di euro, per occuparsi (tra il resto) di disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, disortografia, disgrafia, discalculia) edisturbi specifici di linguaggio, dichiara:

“Da tempo stiamo denunciando l’abuso diagnostico e terapeutico su bambini assolutamente sani ma che, a causa di una legge improbabile (la 170/2010), basata su falsità scientifiche e su diagnosi che altro non sono che la riproposizione di un sintomo o di un segnale di difficoltà (come la disgrafia, ad esempio) finiscono nell’imbuto della salute mentale!” E continua dicendo: “Come mai il personale psichiatrico si occupa in maniera così invasiva e senza limitazione professionale alcuna, di competenze che appartengono a questioni di carattere esclusivamente pedagogico? Quali sono i risultati, sul piano epidemiologico e della ricerca scientifica, di tanta ingerenza e di tali prassi?”

http://www.romatoday.it/social/forum/bambin-gesu-in-manicomio-per-curare-la-dislessia.html

C’è poi Allain Goussot docente di pedagogia speciale, presso l’Università di Bologna, pedagogista, educatore, filosofo e storico, che parlando di DSA e di BES scrive:

Si tratta di una nuova categorizzazione della popolazione scolastica che comprende gli alunni disabili certificati, gli alunni con DSA (disturbi specifici dell’apprendimento), alunni con difficoltà di apprendimento, con difficoltà linguistico culturali, con disturbi del comportamento, con disagio sociale e con funzione intellettiva limite. E’ una categorizzazione che sposta pericolosamente una varietà ampia di alunni nellasfera dell’“anormalità”, della “devianza” in nome, paradossalmente, dell’inclusione.

E ancora, Allen Frances psichiatra americano, tra gli autori del DSM-IV, che nel suo ultimo libro “Primo, non curare chi è normale” denuncia in ben due capitoli come ci sia “un’inflazione diagnostica enorme” che vede tra i “soggetti preferiti” proprio i bambini e gli anziani, e che prende le mosse da un “nobile obbiettivo: il controllo preventivo prima che la malattia possa prender piede e causare danni” incentivato dal fatto che la “pubblicità esalta i benefici dello screening e fa terrorismo psicologico prospettando l’idea che la malattia possa dilagare indisturbata” (pg.100 del libro).Allen Frances esplicita ciò che sembra ci sia la tendenza a dimenticare e cioè che, né la psicologia né la psichiatria hanno strumenti oggettivi, certi, comprovanti uno stato patologico, ma solo ed esclusivamente delle diagnosi con esito presunto! Test psicologici o psicopatologici e manuali diagnostico statistici come il DSM-5 – non forniscono che interpretazioni, estremamente influenzabili da molteplici fattori sia interni che esterni.

Un altrettanto articolata disamina e denuncia di come il linguaggio medico sociale induca a considerare come patologici sempre più aspetti della vita, la troviamo in un libro di Yann Diener, psicanalista francese, dal titolo evocativo “Un bambino viene agitato”, all’interno del quale c’è anche uno scritto importantissimo di M.R. Ortolan, psicanalista che elabora le molte sfaccettature della medicalizzazione.

C’è poi anche Giancarlo Cavinato, insegnante, Dirigente scolastico e segretario nazionale dell’MCe (Movimento Cooperazione educativa), che scrive: “Assistiamo oggi a una moltiplicazione spropositata di diagnosi di dislessia” e nello stesso articolo Cavinato cita il testo inviato alle scuole dall’associazione ‘Pedagogia familiare’ con la seguente comunicazione:

Oggi in Italia il 30% dei bambini risultano diagnosticati con Disturbi Specifici dell’Apprendimento. Ci conforta il fatto che, assieme a noi, uomini e donne di scienza ed esperienza, istituti scientifici, associazioni culturali, docenti e genitori, stiano sollevando dubbi su questo recente strano fenomeno di diagnosi di massa e sulla “delega alla Sanità”, invece che alla Didattica. Ponendo l’attenzione, altresì, sul danno paradossale causato da una “diagnosi” non necessaria e quindi dannosa. In Italia…. la Didattica non si è ripensata a sufficienza …. Ci sono studi scientifici che dimostrano come si stia diffondendo sempre più l’incomprensione linguistica (T. De Mauro) e questa non èuna malattia deglistudenti quanto una carenza della Didattica e della Metodologia.”

Potrei citare decine di altri che sostengono che le questioni che stiamo annotando non sono “allarmismi” infondati, ma non voglio approfittare ancora della Vostra attenzione.

Concludo solo dicendo che i bisogni dell’infanzia, le difficoltà dell’apprendimento, si affrontano prima di tutto con strumenti educativi, didattico-pedagogico non con diagnosi mediche, e la centralità della scuola in questo campo dovrebbe essere fuori discussione. Purtroppo però in questi ultimi anni c’è stata una sempre maggiore delega di responsabilità, dalla famiglia alla scuola e dalla scuola alla sanità comportando in ciascun passaggio una sempre maggior deresponsabilizzazione. Il problema che oggi sempre più la “certificazione” deresponsabilizzi la famiglia dal suo ruolo educativo, deresponsabilizzi la scuola dal suo ruolo didattico e deresponsabilizzi i bambini dal doversi impegnare e sforzare, trasformando la normale difficoltà che ciascuno prova nel vivere e nello studiare in un impedimento dovuto alla “malattia” psichica, questo fa sì che ciascuna piccola difficoltà venga vissuta come un disturbo psichico, una montagna impossibile da scalare, se non con il supporto dello “strumento compensativo” o peggio del farmaco.

Sperando di riuscire, insieme, a far sì che si riesca a far recuperare terreno alla scuola, alla didattica e all’educazione, perché i bambini di oggi siano dei cittadini di domani a pieno titolo e non “malati certificati” Vi inviamo i più cordiali saluti.

La Presidente dell’associazione Genitori Nidi Veneziani

Dott.ssa Francesca Carfora
Dsa in Veneto a dicembre 2012
Primaria
Sec. 1° grado
Sec. 2° grado
DSA
popolaz.
%DSA
DSA
popolaz.
%DSA
DSA
popolaz.
%DSA
Belluno
76
8.748
0,9%
171
5.524
3,1%
139
8.104
1,7%
Padova
400
39.809
1,0%
425
25.764
1,6%
177
35.737
0,5%
Rovigo
72
8.878
0,8%
72
5.980
1,2%
64
9.645
0,7%
Treviso
223
41.550
0,5%
333
25.044
1,3%
168
36.191
0,5%
Venezia
420
35.503
1,2%
465
22.297
2,1%
190
30.316
0,6%
Verona
364
41.265
0,9%
406
25.002
1,6%
236
32.222
0,7%
Vicenza
759
42.608
1,8%
970
26.773
3,6%
437
38.020
1,1%
VENETO
2314
218.361
1,1%
2.842
136.384
2,1%
1.411
190.235
0,7%
Totale
DSA
popolaz.
%DSA
386
22.376
1,7%
1.002
101.310
1,0%
208
24.503
0,8%
724
102.785
0,7%
1.075
88.116
1,2%
1.006
98.489
1,0%
2.166
107.401
2,0%
6.567
544.980
1,2%

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