Di Eleonora Lorusso – Fonte: Panorama.it
Gli esperti lanciano l’allarme: in troppi assumo psicofarmaci che creano dipendenza e problemi in età adulta. Sotto accusa alimentazione e pillole per migliorare il rendimento scolastico
In 4 anni, dal 2003 al 2007, il numero dibambini iperattivi è aumentato del 22 per cento e ogni anno cresce del 5,5 per cento. Nell’età compresa tra i 4 e i 17 anni, a quasi 1 bambino su 10 viene diagnosticata la sindrome ADHD, in particolar modo ai maschi (13,2%, rispetto al 5,3% delle femmine). Il fenomeno sta assumendo le dimensioni di una vera “epidemia” negli Usa, tanto che le autorità hanno lanciato un allarme. Secondo i dati dei Centers for Disease Control and Prevention , in alcuni Stati si tratta di una piaga sociale, anche per le implicazioni mediche, psicologiche e professioanli che ne derivano: in North Carolina, ad esempio, la percentuale di diagnosi di sindrome da iperattivismo nei giovnaissimi è del 15,6%. Non va meglio in Alabama (14,3%), Louisiana (14,2%), Delaware (14,1%), Ohio e West Virginia (13,3%). Lo Stato più “virtuoso” risulta il Nevada, con il 5,6% di casi, ma il sospetto è che il dato dipenda anche dalla minor propensione della popolazione a rivolgersi ad esperti per affrontare il problema.
Non solo. Dal 2007 ad oggi la percentuale di giovanissimi con disturbi da iperattivismo è ulteriormente cresciuta del 16%, portando ad un balzo di diagnosi di ADHD del 53% nell’ultima decade, come riportato dai media Usa.
Un problema che ha cause fisiologiche, ma anche sociali e familiari. Negli Stati Uniti il disturbo da deficit di attenzione e iperattività si cura prevalentemente col ricorso a farmaci contenenti metilfenidato (Ritalin e Adderall soprattutto) o atomoxetina, ovvero soprattutto con stimolanti che aumentano il livello di dopamina. La loro diffusione è tale che secondo i CDC ne fa ricorso il 66,3% dei genitori con figli affetti da ADHD. Le implicazioni nella somministrazione di questi farmaci, però, soprattutto in età così precoce, solleva molte perplessità, specie in Europa. Si tratta infatti di medicinali che danno dipendenza. Anche per questo nel Vecchio Continente si privilegiano le terapie comportamentali, che vanno ad agire sul cambiamento dello stile di vita e sul supporto psicologico ai giovani che hanno disturbi da iperattivismo.
Di recente ha suscitato un vivace dibattito un articolo che mostrava non solo le differenze di approccio, ma anche le possibili cause che stanno alla base di una maggior diagnosi di ADHD tra gli Usa e la Francia. Se da tempo si parla dell’influenza dell’alimentazione sull’insorgenza dell’iperattivismo, anche la diversa visione della malattia incide sulla sua diffusione. Da un lato esistono infatti diversi studi che proverebbero come una dieta eccessivamente ricca di zuccheri e coloranti, particolarmente presenti in snack e dolci, aumenta il rischio di sviluppare l’ADHD. Dall’altro esiste anche un allarme molto recente sull’abuso di farmaci per migliorare il rendimento scolastico, che creano poi dipendenza e problemi anche in età adulta.
Che l’approccio al problema, soprattutto in passato, sia stato molto differente Oltreoceano lo dimostrano casi concreti, come quello di Miss Sandy. Lei è una maestra di asilo, in una struttura privata in Florida, a Niceville, sul Golfo del Messico. Durante il giorno insegna ai bambini di 4 e 5 anni, ma non appena finito il lavoro accompagna la figlia 14enne dallo psicologo. Anche la ragazza, infatti, soffre di ADHD e prende psicofarmaci da diversi anni. Miss Sandy, però, non sembra preoccupata. A chi le chiede perchè non stia più vicina alla figlia, se abbia provato a parlare con lei del problema, l’insegnante risponde che non ne ha il tempo: “Lavoro dalle 7 del mattino alle 7 di sera. E comunque, quando ho provato a parlare con mia figlia, lei non ha voluto. Lei non si confida con me”. Un attenggiamento piuttosto comune da parte da una teenager, ma che forse in Europa non troverebbe come risposta un farmaco.
Alla scuola elementare di David, invece, sempre in Florida, ci sono molti bambini di 7 anni che prendono il Ritalin da diverso tempo. Erano poco attenti in classe, il loro rendimento non era sufficiente e così le maestre hanno segnalato i casi alla direzione dell’istituto, che li ha mandati per una visita dallo psicologo, che ha diagnostica l’iperattività. Anche Daniel ha “rischiato” di seguire lo stesso percorso, ma la madre, italiana, si è opposta: ha dovuto mediare con le insegnati, chiedendo loro tempo per provare a seguire suo figlio da casa, aiutandolo lei stessa. Dopo qualche mese il problema è stato risolto, non senza grande impegno da parte del genitore. David era al terzo trasferimento di Stato in tre anni, a causa del lavoro del padre, con altrettanti cambi di scuola: ha faticato ad inserirsi e i suoi gesti eclatanti (come scarabocchiare le verifiche di matematica in classe) erano un modo per manifestare un certo disagio per la situazione.
Lui ora sta bene, si è “calmato”, senza il ricorso agli psicofarmaci. Un miracolo per le maestre, che ora lodano il loro allievo, almeno lui “graziato” dall’epidemia di ADHD.