Intervista a David Lazzari, Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi

Intervista a David Lazzari, Presidente del Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi

A cura del nostro Portavoce, Luca Poma – 24 marzo 2021


Mentre la pandemia continua a far vittime e la comunità umana si attrezza per tentare di uscire dal tunnel, l’umanità s’interroga su nuovi modelli di sviluppo: saremo in grado di attuare una transizione ecologica, e di cambiare paradigma, per porci al riparo, in futuro, dal ripetersi di disastri di questa portata? Quale sarà il ruolo della cura della psiche umana in questo percorso? I farmaci potranno sostituire l’interazione tra terapeuta e paziente? Di questi ed atri appassionanti argomenti abbiamo discusso con il Dott. David Lazzari, Presidente del Consiglio Nazionale degli Ordini degli Psicologi, che in questo colloquio coraggioso e denso di contenuti con il nostro Portavoce nazionale, ci ricorda che

“Per gestire questi scenari di transizione, potenzialmente travolgenti e rapidissimi, avremo bisogno di una psiche resiliente, di una mente aperta e consapevole, capace di affrontare, a livello individuale e collettivo, i cambiamenti epocali che abbiamo dinnanzi…”

Lo scenario della somministrazione di psicofarmaci a bambini e adolescenti per tentare di risolvere i loro problemi di comportamento ha raggiunto nel tempo dimensioni preoccupanti. A cosa attribuisce questo fenomeno?

E’ la grande tentazione del meccanicismo, l’idea che trattare le persone come macchine sia una semplificazione utile, efficace e vantaggiosa economicamente. Se ci guardiamo attorno, percepiamo questa scissione: nel mondo sanitario si tende a enfatizzare solo la parte biologica della persona, per di più avulsa da quella psicologica, mentre nel marketing si fa leva sulla potenza delle emozioni, dal momento che anche i prodotti per il corpo sono veicolati dagli stimoli e dalle esigenze psicologiche delle persone. Sembra quasi che esistano due distinte popolazioni, una per chi cura e una per chi vende: la sintesi è che nella sanità si vende un’idea di salute che spesso è solo ideologica, non ha basi scientifiche. Gli studi di epigenetica mostrano l’interazione tra vissuti, esperienze, espressione genica e processi biologici: scotomizzare il disagio dell’infanzia e dell’adolescenza dal contesto psicologico è quindi del tutto inaccettabile nel XXI secolo, oltretutto disponendo di interventi psicologici e psicoterapici efficaci e molto vantaggiosi in termini costo-benefici.

Per anni, si è sentito dire che queste male pratiche sanitarie Americane in Europa non sarebbero mai arrivate. In realtà, le pressioni del marketing farmaceutico si sono fatte sentire anche in Inghilterra, come in Germania, in Francia. In Italia, sul tema della somministrazione di metanfetamine a bambini iperattivi e distratti a scuola, vi è stata una significativa (quanto opportuna) levata di scudi: a parte qualche massimalista, il modello italiano, che prevede un rigido controllo per evitare somministrazioni disinvolte, pare reggere. Tuttavia, le soluzioni non farmacologiche – psicologiche innanzitutto – patiscono l’assenza cronica di risorse finanziarie, e vi sono Regioni che non le riescono a garantire gratuitamente alle famiglie. Puoi illustrare ai lettori questo scenario?

Molte leggi e i LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza, cioè le prestazioni che il Servizio Sanitario Nazionale si impegna a garantire gratuitamente ai cittadini, prevedono l’assistenza psicologica pubblica per i problemi dell’infanzia e dell’adolescenza, ivi compresa la famiglia. Attenzione, non stiamo parlando solo di situazioni relative a gravi disturbi, parliamo anche di situazioni di semplice disagio psicologico, che non va banalizzato, ma neanche patologizzato, disagio che richiede una rete psicologica pubblica di ascolto, sostegno e promozione delle risorse adattive, dell’autoefficacia, della capacità soggettive di resilienza del cittadino. Quindi, abbiamo le norme, abbiamo le professionalità, abbiamo un bisogno diffuso: ma non c’è una concretizzazione operativa, la verità è che manca una strategia, e il Ministero della Salute e le Regioni praticamente non si occupano della salute psicologica se non episodicamente, disattendendo le stesse leggi esistenti. Basti dire che abbiamo in Italia uno psicologo pubblico ogni 12.000 abitanti, veramente molto distanti dalla media europea. Questo vuol dire che in Italia si fa un uso quasi solo privato della professione psicologica, alla quale accede solo chi può finanziariamente permetterselo (e quindi non i più fragili ed esposti) e ciò impedisce ogni programma collettivo di prevenzione e promozione della salute mentale dei cittadini. Il problema sembra economico, ma non lo è, perché gli interventi psicologici fanno risparmiare. Il problema allora è politico e culturale, è legato a visioni arretrate della salute e a una politica che va spesso dietro agli interessi delle lobby piuttosto che ai reali bisogni della popolazione. Quello che serve ora è un uso pubblico, intelligente e concreto dell’enorme risorsa costituita dalla Psicologia, che faccia perno su un nuovo welfare di prossimità, sulla scuola e sui servizi per il lavoro e l’occupazione.

L’utilizzo di antidepressivi e ancor più di antipsicotici agli adolescenti potrebbe aprire un nuovo fronte: le case farmaceutiche ci salvano la vita con molti prodotti utili, ma le derive del marketing farmaceutico troppo aggressivo sono una realtà documentata anche in letteratura scientifica, dinnanzi alla quale non si possono chiudere gli occhi. Come intende reagire la categoria degli Psicologi a queste pressioni, e quali soluzione proponete?

Il diritto alla salute è un diritto costituzionale, oltre che civile: queste distorsioni possono metterlo a repentaglio e quindi serve un’azione civica di sostegno e sensibilizzazione. Le grandi compagnie farmaceutiche ci appaiono come le multinazionali digitali: spesso contano più degli Stati, ma le democrazie hanno l’obbligo di difendere i cittadini senza conflitti di interesse, garantendo informazioni serie e scientificamente documentate. Tanto più che già oggi, a causa della pandemia in corso, si rileva un aumento del consumo di psicofarmaci, spesso usati in modo del tutto inappropriato. I giovani sono esposti a rischi crescenti di dipendenza e vanno aiutati. Nessuno demonizza i farmaci, ci mancherebe, ma il tema è quello dell’abuso, dell’uso non corretto o eccessivamente disinvolto. Per quanto mi riguarda, penso che sarà utile lanciare una campagna nazionale di informazione e sensibilizzazione, spero con l’apporto e la partecipazione di molti soggetti qualificati.

“GiùleManidaiBambini” è innanzitutto una campagna d’informazione e sensibilizzazione per la cittadinanza, nata dalla consapevolezza che l’abuso di psicofarmaci è difficilmente normabile per legge, serve a poco, e che ciò che è utile è invece aumentare la consapevolezza degli addetti ai lavori e soprattutto delle famiglie. Che peso pensa abbiano, potenzialmente, iniziative come questa?

Penso che siano essenziali, perché la medicina ha un grande peso nell’orientare il modo con cui le persone vedono la propria salute, e insistere solo sui “determinanti biologici” della salute finisce per metterle in una situazione di passività, e di non ascolto, oppure di farle sentire non comprese.

Sposti l’attenzione avanti di 20 anni: che mondo avremo dinnanzi, secondo lei, sotto il profilo dell’ambiente di vita e soprattutto delle relazioni tra le persone, e quale potrebbe essere il ruolo dello psicologo nel futuro?

Siamo a un bivio: o l’umanità sarà in grado di attuare una transizione ecologica, un nuovo modello di sviluppo, o saranno guai molto seri. Questa transizione avrà un enorme impatto sulla vita delle persone, direi superiore alla rivoluzione industriale, perché sarà molto più veloce. Per gestire questo scenario, avremo bisogno di una psiche resiliente, di una mente “aperta” e consapevole, capace di affrontare, a livello individuale e collettivo, questo passaggio epocale. Il ruolo della Psicologia e degli Psicologi sarà cruciale, perché noi ci occupiamo proprio delle relazioni, della comprensione e della gestione dei rapporti tra le cose, le persone, tra il singolo ed i contesto, e questo aspetto sarà sempre più essenziale. La Psicologia avrà un duplice ruolo: evitare una regressione e una “robotizzazione” collettiva, e aiutare le persone e la collettività a fare questo salto quantico. Spero solo che i politici si rendano conto dell’importanza cruciale di questa sfida.

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