“GiùleManidaibambini” e l’ACSI contro l’aubso degli antidepressivi per gli adolescenti: sport antidoto psicosociale

"GiùleManidaibambini" e l'ACSI contro l'aubso degli antidepressivi per gli adolescenti: sport antidoto psicosociale

Articolo di Luca Poma, portavoce nazionale di GiùleManidaiBambini, pubblicato sul n° 58 di ACSI Magazine, settembre 2020


“Una persona sana è un malato che non sa di esserlo”, diceva nel 1923 Jules Romains, ne Il dottor Knock ovvero il trionfo della medicina, frase assai inquietante ripresa in epoca moderna dal Presidente di una grande compagnia farmaceutica in occasione del convegno annuale degli azionisti.

Sul tema della sovra-diagnosi e sovra-prescrizione di psicofarmaci per l’età pediatria, vi è un’ampia bibliografia, e vi è da sempre un dibattito molto acceso, sia sui mass-media che nella comunità scientifica, specie in relazione alla raffinata e perversa tecnica del disease mongering, ovvero l’utilizzo di criteri diagnostici definitivi a tavolino da parte degli uffici marketing delle multinazionali farmaceutiche, al fine di includere sempre più cittadini tra le schiere dei malati. Aziende farmaceutiche che ci aiutano con molti prodotti utilissimi, che hanno anche allungato di gran lunga le aspettative di vita, ma che pare non riescano quasi mai a cedere alle allettanti sirene del profitto, anche quando ciò comporta la violazione dei più elementari principi di carattere etico.

Inoltre, la comunità scientifica non è affatto concorde circa i criteri diagnostici con i quali si stabilisce la “soglia di normalità” delle persone, al di sotto della quale un cittadino può essere classificato come malato, e quindi sottoposto a terapie, spesso – incidentalmente – a base di psicofarmaci, stabilite – in quasi tutto il mondo – dal DSM, il discusso Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, che aumenta il numero di nuove patologie ad ogni sua nuova edizione.

Ad esempio, le prove scientifiche hanno dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio l’elevato profilo di rischio della paroxetina, che è una delle molecole più prescritte – in modalità off-label, ovvero anche per disturbi per i quali il farmaco non era stato inizialmente autorizzato – per la depressione in età adolescenziale: l’imponente revisione sistematica promossa da una delle più autorevoli riviste mediche del mondo, il British Medical Journal, non lascia spazio a dubbi, e conferma che i dati che finora hanno giustificato la prescrizione a bambini e adolescenti di questo antidepressivo – prescritto anche in Italia – erano stati falsati dal produttore, la multinazionale farmaceutica GSK – GlaxoSmithKline, e che questa molecola è “inefficace e può essere pericolosa”

Lo studio alla base delle richieste di AIC – Autorizzazione all’Immissione in Commercio di questo farmaco, studio denominato “329”, era stato pubblicato nel lontano 2001, a firma di 22 ricercatori, e originariamente pareva confermare l’appropriatezza d’uso per questa molecola nei casi di depressione negli adolescenti. In realtà, la ricerca fu redatta da Sally K. Laden, una ghostwriter pagata dalla casa farmaceutica che aveva finanziato la ricerca allo scopo di dimostrare l’efficacia della molecola, vicenda raccontata in Italia in un articolo del 2015 a firma di Paolo Migone, direttore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane.

Ci sono voluti poi 14 anni, e la tenacia di validi ricercatori, per ribaltare i risultati dello studio, e dimostrare che la paroxetina aumenta il rischio di suicidio per i minori che la assumono. Il tutto, nell’indifferenza delle autorità di controllo sanitario: ad esempio in Italia nessuna istituzione preposta ha mai preso provvedimenti solleciti e incisivi a migliore tutela della salute dei minori, tanto che ad oltre 2 anni dalla pubblicazione delle nuove evidenze scientifiche, nessun “warning” era stato pubblicato sui siti web delle autorità pubbliche come delle società scientifiche, né alcun comunicato era stato emesso ai mass-media, pregiudicando de facto l’accesso all’informazione da parte della cittadinanza. Solo un’azione diretta del comitato di farmacovigilanza pediatrica “Giù le Mani dai Bambini” sull’allora Presidente dell’AIFA – Agenzia Italiana del Farmaco Dott. Stefano Vella, molto sensibile ha questi temi, ha sbloccato la situazione garantendo l’emissione di una Letter to Doctor dell’Agenzia, tanto essenziale quanto tardiva.

In ogni caso, la depressione in fascia adolescenziale pare essere la nuova patologia del millennio, e – per qualcuno – un nuovo redditizio business, e il ricorso ai farmaci antidepressivi per trattare adolescenti, e anche a volte bambini, é sempre più frequente e in crescita: in cinque paesi occidentali – Usa, Gran Bretagna, Germania, Danimarca e Olanda – è aumentato del 40% nel corso dei 5 anni oggetto di monitoraggio. Tra l’altro non va dimenticato – anche questa è una informazione che spesso la propaganda delle case farmaceutiche tende a nascondere – che i farmaci antidepressivi anche per gli adulti hanno una efficacia minima, di poco superiore e a volte addirittura uguale al placebo, come è stato dimostrato da rigorose ricerche controllate, replicate più volte e pubblicate nelle migliori riviste scientifiche: come sia possibile allora parlare ancora di “cura” in relazione all’effetto, meramente sintomatico, di questi prodotti, resta davvero un mistero.

Si tratta di una tendenza mondiale, come confermato da uno studio pubblicato sull’European Journal of Neuropsychopharmacology: i dati della ricerca mostrano infatti che in Gran Bretagna il numero di antidepressivi prescritti ai minori è cresciuto del 54%, del 60% in Danimarca, del 49% in Germania, del 26% negli Stati Uniti e del 17% in Olanda; maggiori incrementi si sono registrati nelle fasce d’età tra 10 e 19 anni, e i farmaci più utilizzati sono quelli a base di citalopram, fluoxetina e sertralina. “L’uso di antidepressivi nei giovani è preoccupanteha commentato il Dott. Shekhar Saxena, Direttore della Salute Mentale dell’OMS – una preoccupazione aggravata dal fatto che i farmaci dati ai giovani nella maggior parte dei casi non sono autorizzati per gli under 18”. 

Tutto ciò dovrebbe essere sufficiente a suggerire l’opportunità di inserire l’abuso nella prescrizione e assunzione di psicofarmaci in età pediatrica, specie per problematiche che sarebbero affrontabili con terapie non farmacologiche scientificamente validate, tra gli approcci terapeutici impropri.

Specie in un periodo di profonda e duratura crisi finanziaria qual è quello che stiamo da anni vivendo, i decisori dovrebbero riflettere su quanto sia sbagliato lasciare spazio a terapie di dubbia efficacia, utili forse per garantire alle multinazionali farmaceutiche robusti utili a spese dei sistemi sanitari pubblici, piuttosto che promuovere una serena analisi dei fattori di rischio per la salute mentale dei più giovani indotti da stress e da fattori riconducibili all’ambiente che li circonda, ambiente creato da noi adulti, del tutto inadeguato a garantire uno sviluppo sereno e armonico degli adolescenti. 

Numerosi studi scientifici dimostrano tra l’altro, l’importanza dello sport quale strumento assai utile per l’educazione alla gestione dei problemi di comportamento e delle difficoltà di relazione dei più giovani: in tal senso, l’attività sportiva certamente dovrebbe rientrare, per le istituzioni pubbliche, nell’orizzonte di un progetto educativo realmente centrato sulla persona, oggetto di ben maggiore attenzione – sia sotto il profilo strategico che sotto il profilo degli investimenti finanziari – rispetto a quanto fino ad oggi garantito.

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