Uno studio condotto da Stanford su quasi 800 mila bambini rivela prescrizioni frequenti di farmaci per l’ADHD sotto i 7 anni spesso senza terapie comportamentali preliminari consigliate
Di Alessandro Bolzani, per alanews.it, 3 settembre 2025
Uno studio condotto da Stanford su quasi 800 mila bambini rivela prescrizioni frequenti di farmaci per l’ADHD sotto i 7 anni spesso senza terapie comportamentali preliminari consigliate
Di Alessandro Bolzani, per alanews.it, 3 settembre 2025
Roma, 3 settembre 2025 – Negli Stati Uniti circa l’1% dei bambini con meno di 7 anni assume farmaci per l’ADHD (disturbo da deficit di attenzione/iperattività). È quanto emerge da uno studio di ampio respiro coordinato dalla Stanford University School of Medicine e pubblicato sulla rivista scientifica JAMA Network Open. I dati rivelano una prescrizione precoce e frequente di medicinali specifici, spesso senza che siano state tentate prima terapie non farmacologiche, come raccomandato dalle linee guida internazionali.
Il disturbo da deficit di attenzione/iperattività rappresenta un disturbo neuroevolutivo molto diffuso, che colpisce circa il 10% dei bambini negli Stati Uniti. Secondo i ricercatori, la diagnosi di ADHD viene sempre più frequentemente posta nei bambini prima che inizino la scuola. Analizzando i dati relativi a quasi 800 mila bambini, lo studio ha evidenziato che il 1,4% dei bambini tra i 3 e i 5 anni aveva ricevuto una diagnosi di ADHD e che tra questi, il 68% era già in cura con farmaci specifici prima dei 7 anni di età.
Il primo autore dello studio, Yair Bannett, ha sottolineato come la prescrizione precoce di farmaci per l’ADHD nei più piccoli sia motivo di preoccupazione. Ha evidenziato che un approccio iniziale basato sulla terapia comportamentale non solo è più sicuro, ma può offrire un impatto positivo significativo sia sul bambino sia sulla famiglia. L’adozione di strategie non farmacologiche prima di iniziare il trattamento medico è infatti fondamentale per un intervento terapeutico più equilibrato e personalizzato.
Lo studio si inserisce in un dibattito più ampio sulla gestione dell’ADHD in età prescolare, invitando medici e famiglie a riflettere sull’importanza di un percorso diagnostico e terapeutico che favorisca prima di tutto il benessere globale del bambino.