Qui di seguito, una serie articolata di rilievi mossi dagli “sponsor” della soluzione farmacologia, favorevoli alla somministrazione di psicofarmaci a bambini ed adolescenti. “Giù le Mani dai Bambini” ®, in quanto campagna di formazione/informazione equilibrata, desidera sensibilizzare la cittadinanza in direzione di un auspicabile consenso realmente informato circa i profili di rischio di questo tipo di terapie, ma ritiene corretto garantire spazio di espressione anche alle tesi che promozionano un percorso terapeutico a base di farmaci psicoattivi. Secondo queste tesi, gli psicostimolanti quali il Ritalin (derivato da anfetamine, ma non è l’unico psicofarmaco somministrato ai bambini), nei casi sintomatologicamente più gravi sarebbero necessari anche in età pediatrica, rappresentando un’importante e decisiva risorsa terapeutica come viene rimarcato dalla letteratura scientifica di questi ultimi quarant’anni, e lapidariamente sottolineato da Russell Barkley in un articolo comparso su Psychiatric Times del 1996 che dice: ” i farmaci psicostimolanti hanno dimostrato la loro efficacia in svariate centinaia di studi scientifici, rendendoli non solo uno dei pochi successi nella storia della psichiatria infantile di questo secolo ma i farmaci meglio studiati di qualunque altro farmaco prescritto per i bambini”.

Il Disturbo da Deficit dell’Attenzione con Iperattitvità (ADHD) – caratterizzato nella sua sintomatologia classica da inattenzione, impulsività e iperattività motoria – pare essere il disturbo neuropsichiatrico dell’età evolutiva più diffuso tra la popolazione pediatrica. Gli studi epidemiologici fin qui condotti non consentono di stimare con precisione l’incidenza del disturbo; in tutti quei paesi che presentano studi costanti negli ultimi anni, tuttavia, la prevalenza dell’ADHD è attestata sul 3-5% della popolazione in età scolare, anche se il disturbo può persistere anche in adolescenza e nell’età adulta nel 50-60% dei casi. Questo disturbo comprometterebbe numerose tappe dello sviluppo e dell’integrazione sociale del bambino. Esso rappresenterebbe la causa maggiore di disturbi della condotta e un importante fattore predittivo di insuccesso nella vita. Il campo degli studi e ricerche a livello mondiale riguarda ogni aspetto del disturbo, nonchè i vari interventi di trattamento (psicoeducativi, psico-sociali, comportamentali e, molto più efficaci, gli interventi farmacologici con psicostimolanti e psicofarmaci alternativi).

L’ADHD – secondo queste tesi – sarebbe quindi un disturbo psichiatrico eterogeneo e complesso, collegato nell’80% ad altre sindromi, circostanza che ne aggraverebbe i sintomi rendendo così complessa la diagnosi e la terapia. Infatti nel 70-80% dei casi il disturbo sarebbe associato ad altri disturbi psichiatrici come il disturbo della condotta, il disturbo oppositivo-provocatorio ed i disturbi d’ansia e d’umore. Dalle testimonianze dei genitori emerge quanto questo disturbo possa mettere in crisi la vita sociale di chi ne è affetto e delle rispettive famiglie.

Gli ultimi quarant’anni di ricerche di questo disturbo hanno portato alla considerazione ed allo studio di numerosi fattori alla sua origine (si tratta infatti di un disturbo multifattoriale) e fra questi, fattori genetici, fattori morfologici cerebrali, fattori prenatali e perinatali, fattori traumatici, fattori sociali.

La diagnosi di ADHD allo stato attuale si basa sulla classificazione del manuale psichiatrico “DSM edizione IV”, attraverso una valutazione del bambino condotta da psichiatri e neuropsichiatri. La valutazione è oltremodo complessa perché deve coinvolgere oltre che il bambino anche i suoi genitori e gli insegnanti al fine di raccogliere da fonti multiple ed in relazione a più contesti, informazioni sul comportamento e la compromissione funzionale del bambino. In tale analisi è compresa anche la valutazione dei fattori culturali e dell’ambiente di vita in cui esso è inserito. Si tende ad affermare che l’ADHD è un disturbo diagnosticato sulla base dei soli sintomi, e non di esami diagnostici di tipo clinico. Bisognerebbe però precisare che qualsiasi disturbo neuropsichiatrico è diagnosticato sulla base di sintomi, e per nessuno di essi è ad oggi disponibile un’indagine clinica specifica in grado di rilevarlo. Nel caso dell’ADHD, tale analisi si avvale comunque di strumenti standardizzati, quali questionari e interviste.

Una diagnosi di ADHD non fatta per tempo – secondo i sostenitori delle terapie a base di psicofarmaci – può condurre ad una realtà quotidiana di terapie inefficaci, psicoterapie protratte per anni senza risultati e denunce ai genitori per i danni arrecati dai figli. Essi sostengono che un bambino con ADHD non sottoposto a terapia diverrà un adolescente con gravi disagi psichiatrici e un adulto maggiormente esposto a disturbi di condotta, depressivi o ansiosi. Quindi lo psicofarmaco è certamente, come ampiamente dimostrato in letteratura scientifica, la migliore, la più efficace e la più rapida delle soluzioni possibili per rimediare a questi disagi. La letteratura, in particolare quella psichiatrica, apparirebbe infatti concorde nell’indicare gli psicofarmaci quale decisiva risorsa terapeutica, sperimentata con efficacia direttamente sui bambini.

Riguardo alla possibile “dipendenza” dal farmaco, una ricerca delle Università di Massachusetts e Wisconsin (gennaio 2003) afferma che “non sussiste evidenza certa che il trattamento con stimolanti nella fanciullezza e/o adolescenza sia associato al rischio di abuso di sostanze nell’adolescenza ed in età adulta, alla maggiore frequenza di tale uso in età adulta o alla probabilità maggiore di avere una dipendenza da sostanze.”

Nonostante una grande massa di studi e di ricerca clinica, di un consolidato seppur sempre perfettibile protocollo diagnostico multidisciplinare e di un approccio terapeutico multimodale, gli sponsor della soluzione farmacologica lamentano che di tanto in tanto vengono avanzati dubbi sulla realtà scientifica dell’ADHD. Senza voler indagare sulle più varie motivazioni che inducono non soltanto giornalisti ma anche operatori sanitari al disconoscimento dell’ADHD, essi sottolineano con la massima forza possibile come tale posizione possa essere nella realtà gravida di conseguenze molto dannose, fra queste quella di fuorviare pericolosamente i non addetti ai lavori come genitori ed insegnanti.

Questa situazione è ben descritta nell’International Consensus Statement on ADHD del gennaio 2002 pubblicato su Clinical Child and Family Psychology Review, in cui il Prof. Russell Barkley afferma: “Le opinioni di un gruppetto di dottori non esperti che affermano che l’ADHD non esiste sono poste a confronto con le consolidate opinioni scientifiche che affermano il contrario, come se entrambe le opinioni potessero godere eguali meriti”. Anche la Conferenza Nazionale Italiana di Consenso sull’ADHD (Cagliari 6-7 marzo 2003) a cui hanno partecipato la maggior parte delle società scientifiche e delle associazioni interessate al disturbo, nel suo documento finale esprime una serie di affermazioni in linea con lo “stato dell’arte” presente nella letteratura psichiatrica e con i protocolli di terapia più avanzati nel trattamento di questo disturbo.

Concludiamo ricordando come il 27 settembre 2000 il dottor David Fassler, in qualità di rappresentante dell’American Psychiatric Association (Associazione degli Psichiatri Americani) ebbe a dichiarare al “Committee on Education and the Workforce”, Commissione del parlamento Americano: “…si stima che l’ADHD sia il più diagnosticato fra i disagi psichici dell’infanzia: dal 3 al 5 per cento dei bambini come minimo, con un rapporto di tre a uno dei maschi sulle femmine. È stata verificata una sotto diagnosi, e si riscontrano carenze nei servizi medici psichiatrici. Sarò chiaro: l’ADHD non è facile da diagnosticare, e non si può rilevare in una visita da 5 o 10 minuti. Molti altri problemi quali ansietà, depressione e disagi nell’apprendimento presentano sintomi simili a quelli dell’ADHD. Ci sono anche altri problemi pediatrici secondari legati a tale malattia. Insomma, comunque sia l’ADHD e altri morbi psichiatrici sono effettivamente diagnosticabili, sono vere e proprie malattie e affliggono un sacco di bambini.”

A tale proposito, giova ricordare come in Italia, presso l‘Istituto Superiore di Sanità, sia stato recentemente istituito il Registro Italiano dei Bambini Affetti da ADHD, al fine di garantire accuratezza diagnostica ed appropriatezza terapeutica del disturbo, tramite la schedatura ed il monitoraggio di tutti i casi di bambini affetti da ADHD registrati in Italia.

Secondo alcuni, una campagna come “Giù le mani dai bambini”® genererebbe preoccupazione, in quanto favorisce “l’abbandono dei bambini” alla triste conseguenza di un disturbo non adeguatamente identificato e curato farmacologicamente. Sarebbe invece opportuno istituire appositi centri di esperti in psichiatria che si affianchino al lavoro dei pediatri sul territorio, al fine di assicurare a tutti i bambini un corretto percorso diagnostico e successivamente un’adeguata terapia psicofarmacologica, capillare e attenta.

Qui di seguito, alcuni appunti – segnalati alla nostra redazione a cura di una lettrice e che riportiamo per completezza d’informazione – redatti da un’associazione che riunisce genitori favorevoli alle terapie a base di psicofarmaci su bambini ed adolescenti, associazione che gode del supporto finanziario di due distinte case farmaceutiche. Invitiamo comunque il lettore – a garanzia di un approccio coerente ed il più possibile imparziale su queste delicate tematiche – a navigare con accuratezza anche la sezione “Contro” del nostro portale.

I GENITORI VORREBBERO AVERE I FIGLI IN SALUTE E FARE A MENO DEI FARMACI

Siamo genitori e nessuno più di noi vive con apprensione la prescrizione di farmaci e in generale la prescrizione di particolari terapie per i nostri bambini. A ben pensarci, nessuno più di noi genitori vorrebbe che il proprio bambino stesse sempre bene in salute e potesse fare quanto più possibile a meno dei farmaci, di qualunque natura essi siano.

IL RIFIUTO INIZIALE DELL’APPROCCIO FARMACOLOGICO DA PARTE DEI GENITORI

In particolare noi genitori di bambini affetti dall’ADHD e disturbi in comorbilità abbiamo vissuto in modo ancora più forte questo “istinto di protezione”, quando il neuropsichiatra ha prescritto a nostro figlio il metilfenidato o un altro genere di psicofarmaco. Le nostre testimonianze sono abbastanza concordi nel ricordare prima di tutto un rifiuto iniziale istintivo verso questo approccio terapeutico e la richiesta di altre strade terapeutiche. Tale posizione di rifiuto per molti di noi spesso è durata molto tempo, addirittura anni: soltanto dopo e con non pochi sensi di colpa ci si è accorti di aver negato ai nostri figli per molto tempo questa risorsa terapeutica rivelatasi invece decisiva e spesso fondamentale per la vita di nostro figlio.

LA GIOIA DI VEDERE IL PROPRIO FIGLIO INIZIARE A VIVERE

Se è vero che nessuno più di noi genitori può soffrire nel vedere i propri figli assumere dei farmaci, nella fattispecie psicofarmaci, è altrettanto vero che nessuno più di noi genitori può provare gioia nel vedere come proprio quella scelta tanto sofferta consenta al proprio figlio di poter finalmente iniziare a vivere.

IL METILFENIDATO E L’ADHD

L’ADHD è uno di quei disturbi di natura neurobiologica che ha la “fortuna” (le virgolette sono d’obbligo) di poter disporre di un farmaco, il metilfenidato, ed in genere la categoria degli psicostimolanti, che, nei casi correttamente diagnosticati ed in particolare in quelli in cui è necessario, quando prescritto, dosato ed assunto secondo la pratica clinica pluridecennale, permette di assistere a drastici miglioramenti dei sintomi. Sono questi cambiamenti che permettono finalmente ai nostri bambini di poter studiare, giocare, relazionarsi, insomma di riappropriarsi di quella vita che fino a pochi giorni prima sembrava sfuggire loro di mano, con enormi emarginazioni e sofferenze.

I GENITORI PREFERIREBBERO SEMPRE UNA CARAMELLA AL POSTO DEL FARMACO

In modo sconsiderato alcuni hanno ritenuto e tuttora ritengono che questa nostra gioia nel vedere “rinascere” i nostri bambini rappresenti “ipso-facto” una nostra “benedizione” del farmaco, o addirittura una sorta di predilezione a favore dell’approccio farmacologico. E’ una conclusione molto affrettata, totalmente errata e in fondo sostanzialmente illogica, perché nessuno più di noi genitori vorrebbe poter sostituire il farmaco magari con una bella caramella rossa al lampone.

LA SCELTA FARMACOLOGICA È OPERATA DAL MEDICO…

Sarà opportuno a questo punto ribadire che l’eventuale scelta farmacologica non la opera il genitore, ma il neuropsichiatra sulla base della sua pratica clinica e di accurati protocolli diagnostici validati in tutto il mondo e nell’ambito della terapia multimodale.

IL FARMACO È UN MEZZO

In questa prospettiva, come già affermato più volte ed in numerosi ambiti, va nuovamente ribadito con forza che il farmaco è semplicemente un mezzo, uno strumento terapeutico: in quanto tale esso non è né buono, né cattivo. Esso diventa buono e talvolta ottimo in mani esperte, come il bisturi in mano ad un bravo chirurgo e l’automobile sotto la guida di un automobilista esperto e rispettoso del codice della strada. D’altro canto il farmaco, in quanto mezzo, può divenire a dir poco “pericoloso” se utilizzato da medici inesperti o con poca pratica clinica, al pari di un bisturi tra le mani di uno studente del primo anno di medicina o di un’automobile guidata di notte da un ubriaco. Nessuno più di noi genitori, in un tema così delicato come quello degli psicofarmaci prescritti per i propri figli, si rende conto di questo fatto fondamentale.

I GENITORI TEMONO UN USO INCONGRUO DEI FARMACI

Nessuno più di noi genitori teme il problema di uso incongruo o addirittura di abuso di farmaci, un problema che non è evidentemente ricollegabile ai farmaci in quanto tali, ma a chi ha effettuato la diagnosi e li prescrive, per il semplice fatto che il soggetto ad esserne danneggiato è il proprio bambino. Nessuno più di noi genitori teme una diagnosi parziale o totalmente errata e conseguentemente l’utilizzo di uno psicofarmaco non idoneo che non soltanto non migliora o addirittura peggiora i sintomi, ma che presenta gravi effetti collaterali (si pensi all’uso di un antipsicotico per la terapia dell’ADHD). Nessuno più di noi genitori teme, pur in presenza di una diagnosi sostanzialmente corretta, l’utilizzo di farmaci non di prima scelta (è quanto sinora accaduto e che tuttora accade nel caso dell’ADHD per la mancanza del metilfenidato attraverso l’utilizzo di altri farmaci, ad esempio attraverso l’utilizzo di antidepressivi triciclici)

L’ETICA PROFESSIONALE NELL’USO DEI FARMACI

Il corretto uso o viceversa l’uso incongruo o addirittura l’abuso dei farmaci non sono eventi che derivano dal farmaco in quanto tale, ma esclusivamente dalla preparazione e dalla pratica clinica del medico. Nessuno più di noi genitori ritiene che la prescrizione di psicofarmaci a bambini ed adolescenti (ma anche ad adulti) implichi enormi riflessi nell’ambito dell’etica professionale. Nessuno più di noi genitori in questo delicato ambito richiederà nei medici, anche in relazione alla prossima attivazione dei Centri regionali di diagnosi e terapia, grande pratica clinica nella diagnosi e preparazione nell’approccio farmacologico ed in quello cognitivo comportamentale.

Per una critica a queste affermazioni, si invita il lettore a navigare con accuratezza questo stesso portale. Tutti i materiali ivi contenuti sono scaricabili gratuitamente. Pubblicazioni cartacee divulgative sono anch’esse disponibili sul portale in formato elettronico, o richiedibili al Comitato in formato cartaceo.