Approfondimento: gli effetti collaterali dei farmaci antipsicotici

Nel suo articolo “Gli antipsicotici di seconda generazione in età evolutiva: prevalenza d’uso, evidenze di efficacia, tollerabilità e problemi aperti”, Alessandro Zuddas, del Centro Terapie Farmacologiche in Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Cagliari, suggerisce e stimola alcune interessanti riflessioni sul profilo rischio/beneficio nell’uso di queste molecole psicoattive sul cervello in via di sviluppo di bambini e adolescenti. Riportiamo qui di seguito a beneficio dei nostri lettori alcuni passaggi dal lavoro del Prof. Zuddas (la bibliografia scientifica è riportata nella versione originale dell’articolo, linkata sopra nel titolo):

“(…) Negli ultimi anni la prescrizione di farmaci psicotropi ha assunto un ruolo importante nei programmi di intervento terapeutico integrato per molti disturbi psichiatrici diagnosticabili nei bambini e negli adolescenti. Nonostante ciò, la gran parte di tali farmaci non sono registrati per tali usi, ovvero lo sono solo in una ristretta minoranza di possibili indicazioni. Una classe di farmaci psicotropi il cui utilizzo è sensibilmente cresciuto negli ultimi anni è costituita dagli antipsicotici di seconda generazione (SGA acronimo per l’inglese Second Generation Antipsychotics). Dati nordamericani indicano come la prescrizione degli antipsicotici a bambini e adolescenti sia aumentata di sei volte tra il 1993 e il 2002. Dal 2000 al 2002, il 9,2% di tutte le visite per problemi di salute mentale e il 18,3% delle visite effettuate da psichiatri dell’infanzia e dell’adolescenza era accompagnato dalla prescrizione di un antipsicotico, costituito nel 92,3% dei casi da un SGA. Tale trend si è ulteriormente potenziato negli anni successivi, ed è interessante notare come, negli Stati Uniti, tali farmaci, vengono utilizzati prevalentemente in bambini e adolescenti affetti da disturbi dirompenti del comportamento (37,8%) e disturbi dell’umore (31,8%); in percentuale inferiore vengono utilizzati nel disturbo pervasivo dello sviluppo o nel ritardo mentale (17,3%) e solo nel 14,2 % dei casi per la terapia di disturbi psicotici. Simili dati di prevalenza sono stati riscontrati in diversi Paesi europei. Nel Regno Unito le prescrizioni degli antipsicotici per pazienti tra i 7 ed i 12 anni sono triplicate tra il 1992 e il 2005 e la prescrizione degli SGA è aumentata di 60 volte tra il 1994 e il 2005. Nei Paesi Bassi la prevalenza delle prescrizioni degli antipsicotici è raddoppiata tra il 1997 ed il 2002, con aumento soprattutto tra i maschi nella fascia d’età tra i 10 ed i 14 anni. Come osservato negli Stati Uniti, tale aumento di prescrizioni appare correlabile sia ad un uso più frequente degli SGA per disturbi non psicotici che a un uso più prolungato. (…) gli studi clinici randomizzati e controllati sulla tollerabilità e la sicurezza dei farmaci psicotropi nella popolazione pediatrica sono ancora poco numerosi e spesso presentano limiti metodologici quali la breve durata, il campione relativamente poco numeroso, valutazione tramite strumenti non sempre standardizzati e affidabili (…). In confronto agli adulti gli adolescenti trattati con farmaci antipsicotici appaiono a maggior rischio di sviluppare problemi metabolici e sintomi extrapiramidali (…). Nonostante l’intenso dibattito nosologico sull’esistenza del disturbo bipolare a esordio in età prepubere, un numero crescente di bambini e adolescenti viene riferito ai Servizi di salute mentale per estrema irritabilità e comportamenti aggressivi correlati a estrema labilità affettiva. (…) il numero di visite di bambini e adolescenti per tali disturbi appare aumentato di 40 volte (…). Tutti gli antipsicotici possono aumentare i livelli di prolattina e indurre effetti collaterali quali oligo/amenorrea, disfunzione erettile, diminuzione della libido, irsutismo, ginecomastia e galattorrea. (…) In generale i bambini e gli adolescenti in terapia sia con FGA (First Generation Antipsychotics) che SGA tendono maggiormente a mostrare effetti indesiderati extrapiramidali quali distonia e parkinsonismo. Una serie di studi controllati con placebo mostra che, dopo periodi relativamente brevi di somministrazione (pochi mesi) il risperidone induce effetti extrapiramidali in una percentuale di pazienti variabile tra l’8 e il 26%. (…) La Sindrome Maligna da Neurolettici (SMN) è una rara ma potenzialmente fatale evenienza caratterizzata da rigidità muscolare, tachicardia, febbre, iper o ipo-tensione arteriosa, leucocitosi ed aumento dei livelli delle Cretinfosfokinasi (CPK) plasmatiche correlata all’uso di antipsicotici. (…) numerosi casi si SMN sono stati riportati in bambini e adolescenti che assumevano tali composti. (…) Tutti gli antipsicotici, anche se in maniera differente, possono prolungare l’intervallo QT dell’elettrocardiogramma (ECG); in presenza di tachicardia tale effetto può comportare grave aritmie (la cosiddetta “torsione di punta”) potenzialmente fatali. Tra i SGA, clozapina e ziprasidone vengono considerati i farmaci più rischiosi. Anche in bambini e adolescenti sono state osservate alterazioni ECG da ziprasidone e rari casi di miocardite da clozapina. (…) I limiti principali all’uso di questi farmaci, sia dal punto di visto autorizzativo da parte delle agenzie regolatorie, che da parte degli stessi clinici, sono costituiti principalmente dalla loro sicurezza d’uso, ancora oggetto di discussione. (…) Non sono chiari i meccanismi con cui si possa instaurare la cosiddetta sindrome metabolica (almeno tre dei seguenti sintomi: obesità, ipertensione, iperglicemia, ipetrigliceridemia, bassi livelli di lipoproteine ad alta densità [HDL]), né esistono evidenze centrate di quali siano i suoi effetti a lungo termine. (…) non esistono a tutt’oggi sufficienti studi che dimostrino che le terapie farmacologiche, efficaci nei primi mesi di malattia, modifichino in termini positivi il decorso a lungo termine della patologie per cui sono prescritti. Tutto ciò, insieme al problema ancora aperto degli effetti di tali farmaci su sistemi neuronali ancora in sviluppo, rende estremamente complesso misurare il rapporto rischi/benefici a lungo termine (…)”.