IL DEFICIT DI ATTENZIONE E IL MIRAGGIO DELLA CURA FARMACOLOGICA

giù le mani dai bambini news

Di Riccardo Paduano – fonte: Corrierenet

Una volta vigeva la convinzione che un bambino scatenato “avesse l’argento vivo addosso”; “una pepita” dicevano i nostri nonni. Oggi lo psichiatra dice che questo concetto deve essere rivisto. In sostanza, questi bambini sono malati e per questo bisogna somministrargli il ritalin. Per farli calmare.

È il 10 marzo del 2007 quando l’Agenzia Italiana del Farmaco, decide, in via definitiva, l’introduzione in Italia del Ritalin,  discusso psicofarmaco per bambini vivaci, da tempo sotto accusa negli Stati Uniti.
In questo modo il ritalin è stato immesso nel mercato e sui banchi delle farmacie del nostro paese – nonostante  le poche ricerche a disposizione in merito alla sindrome da deficit di attenzione e gli effetti collaterali provati.

Ma queste farmaci stanno veramente aiutando i bambini? Bisognerebbe probabilmente chiedersi perché ci si affida in maniera sempre più massiccia al loro utilizzo per il trattamento di ADD/ADHD (disturbo da deficit di attenzione / disturbo da deficit di attenzione e iperattività).

I farmaci per i deficit di attenzione aumentano la concentrazione a breve termine – motivo per cui funzionano così bene per gli studenti universitari che preparano esami. Ma quando somministrati a bambini per lunghi periodi di tempo, questi non migliorano il successo scolastico né riducono i problemi comportamentali.

Purtroppo, pochi medici e genitori sembrano essere consapevoli di ciò che si conosce circa la mancanza di efficacia di questi farmaci.

Ciò che viene pubblicizzato sono risultati a breve termine e studi sulle differenze cerebrali tra i bambini. Infatti, esistono una serie di fatti incontrovertibili che sembrano a prima vista supportare l’utilizzo di questi farmaci. È a causa di questa fondazione parziale, in realtà, che il problema con l’attuale approccio per curare i bambini iperattivi è stato per molti anni messo da parte.

“Già nel 1960”, afferma L. Alan Sroufre , professore emerito dell’Università del Minnesota, “io, come la maggior parte degli psicologi, credevo che i bambini con difficoltà di concentrazione erano affetti da un problema generale di origine genetica o comunque congenita”.

Proprio come le persone affette da diabete tipo 1 che necessitano di insulina per correggere i problemi biochimici con cui sono nati, questi bambini si credeva richiedessero farmaci per correggere il deficit di attenzione. Si è scoperto però, che l’evidenza scientifica a supporto di questa teoria è carente, se non del tutto inesistente.

Nel 1973, il prof. Sroufre ha passato in rassegna la letteratura sul trattamento farmacologico dei bambini per il The New England Journal of Medicine. Decine di studi controllati hanno mostrato che questi farmaci miglioravano istantaneamente le prestazioni dei bambini in attività ripetitive che richiedono concentrazione e diligenza.

Genitori e insegnanti anche hanno riportato un miglioramento nei comportamenti dei bambini in quasi tutti gli studi a breve termine. Ciò ha stimolato un aumento del trattamento farmacologico e ha portato molti a concludere che l’ipotesi del ‘deficit cerebrale’ era stata confermata.

Ma le domande hanno continuato ad aumentare, soprattutto per quanto riguarda il meccanismo con cui questi farmaci agiscono e la durata degli effetti.

Ma cos’è esattamente il Ritalin? Si tratta di una pillola, a base di anfetamina, che agisce su alcuni neurotrasmettitori chimici del cervello come la noradrenalina e la dopamina.

Infatti, secondo l’agenzia statunitense sulla diffusione delle medicine, il Ritalin è un potente eccitante che presenta molti degli effetti farmacologici delle amfetamine, delle metamfetamine e della cocaina.
Allora perché sembrano calmare i bambini? Alcuni esperti sostengono che, poiché il cervello dei bambini con problemi di attenzione è diverso, la droga ha un misterioso effetto paradossale su di loro.

Tuttavia, non c’è davvero alcun paradosso. Quando è stata fatta una revisione della letteratura ulteriore nel 1990 si è scoperto che tutti i bambini, con problemi attentivi o meno, rispondevano ai farmaci stimolanti nello stesso modo. Inoltre, mentre i farmaci aiutavano i bambini a stare fermi in classe, in realtà aumentava l’attività nei parco giochi.

Gli stimolanti hanno generalmente lo stesso effetto su bambini e adulti: migliorano la capacità di concentrazione, soprattutto in compiti che non sono di per sé interessanti o quando si è stanchi e annoiati, ma non migliorano le capacità di apprendimento in senso più ampio.

E proprio come nelle persone che, in molte diete, usano farmaci simili per perdere peso e gli effetti svaniscono nel lungo periodo, gli effetti degli stimolanti sui bambini con problemi di attenzione si dissolvono dopo un uso prolungato.

Alcuni esperti hanno sostenuto che i bambini con ADD/ADHD non svilupperebbero questa tolleranza perché il loro cervello è, in qualche modo, diverso. Ma in realtà, la perdita di appetito e insonnia  nei bambini ai quali è stato prescritto per la prima volta un farmaco per il deficit di attenzione svaniscono e, come oggi è riconosciuto, lo stesso succede agli effetti sul comportamento.

A quanto pare, i bambini sviluppano una tolleranza al farmaco e la sua efficacia scompare. Molti genitori che smettono di somministrare il farmaco ai loro bambini riportano che il comportamento peggiora, cosa che conferma la convinzione che il farmaco funziona. Ma il comportamento peggiora perché i corpi dei bambini si sono adattati al farmaco. Gli adulti possono avere reazioni simili se improvvisamente riducono la dose di caffè giornaliera o smettono di fumare.

Ad oggi, nessuno studio ha riscontrato alcun beneficio a lungo termine dei farmaci per il deficit di attenzione sul rendimento scolastico, le relazioni con i coetanei o sui problemi comportamentali.
Fino a poco tempo fa, la maggior parte degli studi su questi farmaci non erano stati adeguatamente randomizzati e alcuni avevano altri difetti metodologici. Ma nel 2009, i risultati di uno studio controllato,che era in corso da più di un decennio, sono stati pubblicati, e i risultati erano molto chiari. Lo studio assegnava circa 600 bambini con problemi di attenzione, in maniera casuale, a quattro tipi di trattamento: farmacologico, comportamentale, farmacologico e comportamentale e trattamento non sistematico.

In un primo momento questo studio ha suggerito che i farmaci, da soli o associati alla terapia comportamentale, producevano risultati migliori. Tuttavia, dopo tre anni, questi effetti svanivano, e a distanza di otto anni non c’era evidenza che il farmaco avesse prodotto alcun beneficio sul rendimento scolastico e sul comportamento.

Infatti, tutti i successi del trattamento sono sbiaditi nel tempo, anche se lo studio è ancora in corso. Chiaramente, questi bambini hanno bisogno di una più ampia base di supporto di quanto è stato offerto da questo studio di carattere farmacologico, un sostegno che inizi prima e duri di più.

Tuttavia, i risultati delle neuroscienze vengono utilizzati per sostenere l’utilizzo di farmaci per trattare l’ipotizzato “difetto innato”. Questi studi mostrano che i bambini che ricevono una diagnosi di ADD hanno differenti pattern di neurotrasmettitori nel cervello e altre anomalie.

Mentre la sofisticazione tecnologica di questi studi può impressionare genitori e non professionisti del settore, i risultati possono essere fuorvianti. “Naturalmente”, continua Soufre sul New York Times,  “il cervello dei bambini con problemi comportamentali mostrerà anomalie nelle scansioni cerebrali. Non potrebbe essere altrimenti. Comportamento e cervello si intrecciano. La depressione cresce e decresce in molte persone e, parallelamente a questo processo, si verificano dei cambiamenti nel funzionamento cerebrale, indipendentemente dai farmaci”.

Molti degli studi sul cervello dei bambini con deficit di attenzione e iperattività implicano l’esame dei partecipanti mentre sono impegnati in un compito attentivo. Se questi bambini non stanno prestando attenzione a causa della mancanza di motivazione o di una capacità sottosviluppata di regolazione del comportamento, le loro scansioni cerebrali saranno certamente anomale.

Nonostante il funzionamento del cervello venga misurato, questi studi non ci dicono nulla sull’origine di queste anomalie: se presenti sin dalla nascita o il risultato di un trauma, stress cronico o altre esperienze nella prima infanzia.

Uno dei risultati più profondi delle neuroscienze comportamentali negli ultimi anni è stato la chiara evidenza che il cervello in fase di sviluppo è modellato dall’esperienza.

È certamente vero che un gran numero di bambini hanno problemi legati a attenzione, autoregolazione e comportamento. Ma questi problemi sono legati ad alcuni aspetti presenti alla nascita? O sono causati da esperienze della prima infanzia?

Queste domande possono trovare risposta solamente studiando i bambini e l’ambiente circostante da prima della nascita, passando per l’infanzia e l’adolescenza, come hanno fatto Sroufre e colleghi dell’Università del Minnesota per decenni.

Dal 1975 hanno seguito 200 bambini nati nella povertà e, quindi, più vulnerabili ai problemi comportamentali. Sono state contattate le madri durante la gravidanza, e seguite nel corso della loro vita; studiati i rapporti con i caregivers, gli insegnanti e i coetanei. I bambini sono stati monitorati attraverso la scuola e le esperienze della prima età adulta. A intervalli regolari, sono state misurate la salute, il comportamento, le prestazioni nei test d’intelligenza e altre caratteristiche.

Dalla tarda adolescenza, il 50 percento del campione è rientrato in alcune diagnosi psichiatriche. Quasi la metà ha mostrato problemi di comportamento a scuola almeno una volta, e il 24 percento ha abbandonato gli studi dopo la scuola media; il 14 percento rientrava nella diagnosi di ADD/ADHD sia nel primo grado che nel sesto – prima elementare e prima media secondo il nostro sistema.

Altri studi epidemiologici su larga scala confermano tali tendenze nella popolazione generale dei bambini svantaggiati. Ciò che è stato scoperto è che l’ambiente del bambino è un fattore predittivo dello sviluppo di problemi di attenzione. In netto contrasto, misure di anomalie neurologiche alla nascita, IQ e temperamento infantile non hanno predetto l’ADD.

I problemi comportamentali nei bambini hanno molte possibili fonti. Tra questi vi sono sollecitazioni familiari quali violenza domestica, mancanza di sostegno sociale da parte di amici e parenti, situazioni di vita caotiche, che includono frequenti spostamenti e, specialmente,modelli genitoriali intrusivi che coinvolgono una stimolazione per la quale il bambino non è preparato.

Per esempio, a 6 mesi il bambino sta giocando, e il genitore lo prende velocemente da dietro e lo mette nella vasca. O, a 3 anni, il bambino diventa frustrato nella risoluzione dei problemi e i genitori lo insultano o ridicolizzano. Tali pratiche stimolano eccessivamente il bambino e ne compromettono lo sviluppo delle capacità di autoregolazione.

Inserire i bambini in un percorso farmacologico non fa nulla per cambiare le condizioni di deragliamento del loro sviluppo. Eppure queste condizioni ricevono scarsa attenzione. L’Istituto Nazionale di Salute Mentale, negli stati uniti, finanzia ricerche volte in gran parte alla componenti fisiologiche e del cervello del ADD. Mentre vi è qualche ricerca su altri approcci di trattamento, molto poco è stato studiato per quanto riguarda il ruolo dell’esperienza. Gli scienziati, consapevoli di questo orientamento, tendono a presentare solamente richieste di denaro per ricerche volte a chiarire la biochimica.

Così, solo una domanda viene esplorata: vi sono aspetti del funzionamento del cervello associati a problemi di attenzione nell’infanzia? La risposta è sempre si.

E così, viene trascurata la reale possibilità che sia le anomalie cerebrali che l’ADD/ADHD siano il risultato dell’esperienza.

L’attuale corso pone molti rischi. Primo, non ci sarà mai un’unica soluzione per tutti i bambini con problemi comportamentali e di apprendimento. Mentre un piccolo numero di bambini potrebbe beneficiare da trattamenti farmacologici a breve termine, trattamenti a lungo termine, su larga scala, per milioni di bambini non sono la risposta.

In secondo luogo, il trattamento farmacologico dei bambini su larga scala si inserisce in una visione della società che tutti i problemi della vita possono essere risolti con una pillola e da a milioni di bambini l’impressione che ci sia in loro qualcosa di difettoso.

Infine, l’illusione che i problemi comportamentali dei bambini possano essere curati con dei farmaci impedisce alla nostra società di ricercare soluzioni più complicate che sarebbero necessarie. Il farmaco tira tutti fuori dai guai – politici, scienziati, insegnanti e genitori. Tutti, eccetto i bambini.

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