Un sonno più sereno riduce i sintomi dell’Adhd

giù le mani dai bambini news

Di Andrea Piccoli – Fonte: Italiasalute.it

Auspicabile un intervento comportamentale sul riposo notturno

Migliorare il sonno dei bambini può avere come felice contropartita una riduzione dei sintomi di Adhd nei soggetti colpiti. Lo dice uno studio australiano pubblicato sul British Medical Journal.
I soggetti coinvolti erano 250 e tutti lamentavano disturbi del sonno da moderati a gravi. Molti erano poi in trattamento con degli stimolanti. Il coordinatore dello studio Frank Oberklaid, che lavora presso il Dipartimento di Pediatria dell’Università di Melbourne, spiega: “l’Adhd colpisce circa il 5% dei bambini e degli adolescenti, ed è caratterizzato da livelli inappropriati per l’età di disattenzione, impulsività e iperattività. Rispetto ai coetanei sani, nei bambini con il disturbo aumenta il rischio di scarso rendimento scolastico, ritiro dalla scuola, comportamenti a rischio e disturbi psichiatrici, con costi sociali annuali stimati negli Stati Uniti in 143-266 miliardi di dollari”.
Lo studio si è basato sul confronto fra la cura abituale e un intervento terapeutico comportamentale volto a una migliore gestione del sonno. “L’intervento veniva completato in due sessioni individuali e una telefonata”, continua l’autore, spiegando che dopo 6 mesi di follow-up i sintomi dell’Adhd segnalati dai genitori del paziente erano migliorati in modo significativo nel gruppo di intervento rispetto al gruppo controllo.
“Nei bambini sottoposti alla terapia comportamentale non solo miglioravano i disturbi del sonno, ma anche il comportamento, la qualità della vita, e le capacità mnemoniche”, precisa il dott. Oberklaid, sottolineando come, rispetto al gruppo di controllo, i soggetti trattati hanno dormito circa 10 minuti al giorno in più.
“Questi risultati suggeriscono che la gestione comportamentale dei disturbi del sonno potrebbe migliorare la prognosi di molti bambini con Adhd, riducendo a lungo termine anche i costi sociali e sanitari della malattia”, conclude il ricercatore australiano.

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