Mario Negri: il coraggio di dire no a Big Pharma

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Fonte: Cartabellotta A. Integrità e trasparenza della ricerca: si faccia tutto alla luce del sole. Il Sole 24 Ore Sanità 

Il 4 settembre Silvio Garattini et coll. annunciano sul BMJ il ritiro dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri da un progetto della Innovative Medicines Initiative, finanziato al 50% dall’Unione Europea e finalizzato a sviluppare un farmaco di proprietà della GlaxoSmithKline (GSK).
Le motivazioni del clamoroso ritiro conseguono alle inaccettabili condizioni dettate dalla GSK, la quale “pretende per sé il diritto di accordare o negare l’accesso ai dati dello studio e il controllo della loro pubblicazione”.Lo scontro Mario Negri–GSK riporta all’attenzione lo scandalo della non obbligatorietà di rendere disponibili i risultati delle sperimentazioni cliniche condotte sui farmaci. Infatti, visto che la normativa continua a ignorare le disastrose conseguenze di un reporting incompleto e della mancata pubblicazione dei risultati, il legittimo proprietario dei dati (ricercatori o industria farmaceutica) può ancora oggi decidere a propria discrezione di non pubblicare i risultati delle sperimentazioni cliniche.
Questo fenomeno – noto come bias di pubblicazione – è ampiamente documentato in letteratura da oltre 20 anni, ma non è mai stato risolto in maniera definitiva: infatti, se da un lato l’industria farmaceutica tenta continuamente di negarne l’esistenza, per parte loro nessuna tra le istituzioni e organizzazioni coinvolte nella ricerca (università, enti di ricerca, agenzie regolatorie, ordini professionali, società scientifiche, comitati etici) ha mai avanzato proposte per risolverlo definitivamente.
Per tali ragioni, il 7 gennaio 2013 diverse organizzazioni (Bad Science, Sense About Science, BMJ, James Lind Alliance, Centre for Evidence-based Medicine) hanno lanciato la petizione internazionale AllTrials, chiedendo che “tutti i risultati di tutti i trial pregressi e futuri condotti su tutti gli interventi sanitari siano resi disponibili” per garantire decisioni realmente evidence-based .
Anche la pubblicazione incompleta o distorta dei trial rappresenta un problema rilevante: ad esempio, i risultati dei trial clinici pubblicati possono differire in senso “positivo” da quanto precedentemente sottoposto alle agenzie regolatorie; l’outcome primario spesso si discosta da quello inizialmente dichiarato favorendo risultati statisticamente significativi; senza contare la frequente interpretazione ottimistica che gli autori danno dei risultati ottenuti.
Il 7 agosto, integrando l’iniziativa AllTrials, Douglas Altman e David Moher hanno lanciato una proposta: l’autore principale dello studio dovrebbe firmare una dichiarazione di trasparenza, quale elemento integrante della sottomissione dell’articolo alla rivista, dichiarando che: a. il manoscritto è un resoconto onesto, accurato e trasparente dello studio a cui si riferisce; b. non è stato omesso alcun aspetto rilevante dello studio; c. ogni eventuale discrepanza rispetto allo studio pianificato (ed eventualmente registrato) è stata spiegata.
Considerato che il fine ultimo degli investimenti destinati alla ricerca sanitaria è il miglioramento della salute delle popolazioni, lo scontro Mario Negri–GSK costituisce l’occasione per ribadire che tutta la ricerca condotta deve essere pubblicata in maniera accurata e completa. Ovviamente, per raggiungere questo irrinunciabile obiettivo tutti gli stakeholders devono essere pronti ad attuare numerose “innovazioni di rottura”, come la scelta fatta da Garattini e dai suoi collaboratori:

  • le Istituzioni dovrebbero applicare un approccio più rigoroso: ad esempio il SSN dovrebbe rimborsare un farmaco solo se tutti i dati di tutti i trial che lo riguardano sono pubblicamente accessibili, oppure inserire nel prontuario solo i farmaci di aziende che rendono disponibili i risultati di tutti i trial condotti;
  • i comitati etici dovrebbero giocare un ruolo attivo nel prevenire il bias di pubblicazione, attraverso il monitoraggio pubblico dei protocolli approvati e verificando la pubblicazione dei trial precedenti dei ricercatori prima di autorizzare ulteriori progetti di ricerca;
  • le riviste potrebbero attuare una politica simile a quella del BMJ, che prende in considerazione per la pubblicazione i trial su farmaci e dispositivi medici solo se gli autori si impegnano a rendere disponibili i dati in forma anonima, a seguito di richiesta motivata;
  • le Università e tutti i centri coinvolti in sperimentazioni cliniche non dovrebbero sottoscrivere contratti di sponsorizzazione dove l’industria detiene la proprietà dei dati e può decidere di pubblicare o meno lo studio;
  • i pazienti invitati a partecipare ai trial dovrebbero accettare il reclutamento solo se: a. il protocollo dello studio è stato registrato ed è pubblicamente accessibile; b. il protocollo fa riferimento a revisioni sistematiche delle evidenze disponibili che giustificano la necessità del trial; c. viene fornita una garanzia scritta che i risultati completi dello studio saranno pubblicati e inviati a tutti i partecipanti che lo desiderano e i dati saranno resi disponibili a tutte le parti interessate;
  • l’industria farmaceutica deve accettare che non tutti i propri legittimi interessi possano prevalere sulla salute dei pazienti, valutando l’impatto dei “costi della trasparenza” nel proprio rischio di impresa.

Tralasciando la discutibilità sul piano morale e scientifico, la ricerca non pubblicata, o pubblicata parzialmente, comporta disastrose conseguenze cliniche, economiche ed etiche: infatti, altera il profilo di efficacia-sicurezza dei trattamenti, aumenta i rischi per i pazienti, consuma preziose risorse, infrange il patto sottoscritto nel consenso informato e tradisce la fiducia dei partecipanti, convinti di contribuire al progresso della medicina.
Con le parole di Garattini: “Il segreto posto sui risultati degli studi clinici rappresenta un’indebita spoliazione dei diritti dei pazienti e dei medici che partecipano allo studio: i dati in definitiva sono loro”.

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